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AUSL RISPONDE DELLA NEGLIGENZA MEDICO DI BASE RAVENNA

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BOLOGNA-RAVENNA-RIMINI- VICENZA TREVISO –

avvocatiabologna esperti

AUSL RISPONDE DELLA NEGLIGENZA MEDICO DI BASEAVVOCATI A BOLOGNA

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AUSL RISPONDE DELLA NEGLIGENZA MEDICO DI BASE –AVVOCATI A BOLOGNA

avvocato malasanità Bologna,ti spiego come ottenere il danno da malasanità
avvocato malasanità Bologna,ti spiego come ottenere il danno da malasanità

BOLOGNA-RAVENNA-RIMINI- VICENZA TREVISO -AUSL RISPONDE DELLA NEGLIGENZA MEDICO DI BASE –AVVOCATI A BOLOGNA

“L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”). In seguito all’entrata in vigore della legge Balduzzi, accanto a sentenze nelle quali si ritiene necessario accertare “se vi sia stato un errore determinato da una condotta negligente o imprudente” pur a fronte del rispetto di linee guida accreditate presso la comunità scientifica (Sez. 4, n. 18430 del 05/11/2013 – dep. 2014, Loiotila, Rv. 261294), ve ne sono altre secondo le quali la disciplina di cui all’art. 3 della legge Balduzzi, pur trovando terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza (Sez. 4, n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, Rv. 260739), o comunque in ipotesi di errori connotati da profili di colpa generica diversi dall’imperizia (Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, Rv. 266903). Con l’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, il parametro dell’imperizia ha assunto maggior rilievo. Dopo una travagliata vicenda interpretativa, la questione della corretta interpretazione da conferire all’ art. 6 della legge 24/2017 (introduttivo dell’art. 590-sexies cod.pen.) é stata devoluta alle Sezioni Unite, le quali hanno affermato il seguente principio di diritto: “L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si é verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si é verificato per colpa (anche “lieve’) da imperizia quando il caso concreto non é regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si é verificato per colpa (anche “lieve’) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si é verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico” (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 22/02/2018, ric. Mariotti). In conseguenza di tale assetto normativo ed interpretativo, si dovrà anche verificare in concreto quale sia la legge penale più favorevole, in relazione a fatti risalenti ad epoca antecedente all’ultimo intervento legislativo, come nel presente caso. Ciò, evidentemente, in virtù di quanto previsto dalle disposizioni che stabiliscono la retroattività della legge più favorevole. Con riferimento a tale ultimo profilo„ sempre la pronuncia delle Sezioni Unite, Mariotti e altro, recependo approdi già delineatisi, ha precisato che il precetto di cui all’art. 3 legge 8\11\2012, nr. 189 “risulta più favorevole in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario – commessi prima della entrata in vigore della legge Gelli-Bianco – connotati da negligenza o imprudenza, con configurazione di colpa lieve, che solo per il decreto Balduzzi erano esenti da responsabilità quando risultava provato il rispetto delle linee-guida o delle buone pratiche accreditate. In secondo luogo, nell’ambito della colpa da imperizia, l’errore determinato da colpa lieve, che sia caduto sul momento selettivo delle linee-guida e cioè su quello della valutazione della appropriatezza della linea-guida era coperto dalla esenzione di responsabilità del decreto Balduzzi (v. Sez. 4, n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, non massimata sul punto), mentre non lo è più in base alla novella che risulta anche per tale aspetto meno favorevole. In terzo luogo, sempre nell’ambito della colpa da imperizia, l’errore determinato da colpa lieve nella sola fase attuativa andava esente per il decreto Balduzzí ed è oggetto di causa di non punibilità in base all’art. 590-sexies, essendo, in tale prospettiva, ininfluente, in relazione alla attività del giudice penale che si trovi a decidere nella vigenza della nuova legge su fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore, la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto liberatorio” (così in motivazione la già citata Sez. U n. 8770 del 21/12/2017, dep. 22/02/2018, Mariotti e altro, Rv. 272174 – 01). In conclusione, la Corte di merito avrebbe dovuto verificare la esistenza di linee guida, stabilire il grado di colpa tenendo conto del discostamento da tali linee guida o, comunque, del grado di difficoltà dell’atto medico, stabilendo la qualità della colpa (imprudenza, negligenza imperizia) ed il suo grado al fine di verificare se il caso rientri in una delle previsioni più favorevoli. 4. Parimenti carente è l’aspetto riguardante il profilo del giudizio controfattuale, che non viene percorso dal giudice d’appello il quale non si interroga, come avrebbe dovuto, sulle conseguenze salvifiche di un intervento appropriato del sanitario. L’errore, ex se, non vale a tradursi nell’immediato riconoscimento della responsabilità penale. Nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, deve necessariamente farsi luogo ad un ragionamento controfattuale che deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Sez. 4, Sentenza n. 30469 del 13/06/2014, Rv. 262239

LO STUDIO LEGALE AVVOCATO SERGIO ARMAROLI

COMUNICA CHE RINGRAZIA DI CUORE  IL PERSONALE

MEDICO E INFERMIERITICO PER QUANTO STANNO

FACENDO A FAVORE DEGLI AMMALATI DI COVID 19

E CHE NON ACCETTA NESSUN TIPO DI INCARICO LEGATO

ALLA RESPONSABILITA’ MEDICA DA ASSISTENZE COVID

VERSO PERSONALE MEDICO O INFERMIERISTICO.

IL COVID ‘ UN VIRUS E PERTANTO LA CLASSE MEDICA E

INFERMIERISTA CHE HA SOFFERTO TANTO IN NUMERO DI PERSONE

DECEDUTE   E PER L’ATTIVITA’ SVOLTA ,

 

AVVOCATO ATTIVO  NEL SETTORE DELLA MALASANITÀ AL TUO SERVIZIO

Hai avuto un problema

di malasanità ?

  • ladiagnosi si è rivelata errata oppure è stata posta in grave ritardo;
  • l’intervento medico è stato eseguito in modonegligente o imprudente;
  • le cure ricevute sono state inadeguate o la struttura sanitaria aveva delle carenze strutturali e organizzative;
  • è stata contratta una graveinfezione ospedaliera o un contagio con sangue infetto;

Malasanità AVVOCATO ESPERTO  si occupa di assistenza legale alle vittime di malasanità per errori medici.

Vittima di un danno fisico dovuto ad un errore medico, se un tuo familiare è deceduto a causa di un errore commesso da un medico, rivolgiti all’avvocato Sergio Armaroli

Errata o tardiva diagnosi malattie oncologiche

Interventi chirurgici eccessivamente invasivi o non necessari

Interventi chirurgici inefficaci perché non completi

AUSL RISPONDE DELLA NEGLIGENZA MEDICO DI BASE RAVENNA
AUSL RISPONDE DELLA NEGLIGENZA MEDICO DI BASE RAVENNA

Terapie oncologiche (chemioterapie, radioterapie, ecc) inadatte

Accanimento terapeutico

Consenso informato: pazienti mal edotti delle eventuali complicazioni derivanti dall’intervento

Scarsa assistenza post-operatoria

Lesioni colpose di organi, terminazioni nervose, legamenti in corso di intervento

Suturazioni errate

Lesioni causate da intubazione oro-tracheale

Errori in fase di anestesia con lesioni cerebrali o decesso del paziente

  • carenze organizzative nosocomiali delle strutture, che incidono sulla efficienza e sulla salubrità degli ambienti sanitari (cfr. infezioni), oppure sulla ripetizione di errori professionali (si pensi alla maggiore esposizione al rischio di sanitari costretti ad orari di lavoro eccessivamente onerosi);

Quando si calcola? Innanzi tutto è necessario indicare in quali settori è necessario valutare il danno biologico infatti numerosi sono i casi: incidente stradale; incidente sul lavoro; errore medico

ERRORE MEDICO ERRORI MEDICI

AVVOCATO ESPERTO MALASANITA’ BOLOGNA

RAVENNA PADOVA FORLI

SEI RIMASTO DELUSO DELL’ASSISTENZA RICEVUTA IN OSPEDALE?

PENSI CHE  DOVEVANO AVERE MIGLIOR ATTENZIONE

PER UNA DIAGNOSI?

UN TUO PARENTE O FAMIGLIARE E’

STATO VITTIMA

DI ERRORE  MEDICO ?

DI MALASANITA’?

SUPPONI DI AVER SUBITO UN DANNO CHE POTEVA

ESSERE EVITATO CON UN’INTERVENTO CHIRURGICO?

A CAUSA DI IMPERIZIA  IMPRUDENZA O NEGLIGENZA  UN TUO FAMIGLIARE E’ MORTO IN OSPEDALE?

CURATO MALE?

ALLORA CHIAMA UN AVVOCATO ESPERTO CHE TI FARA’ AVERE IL

GIUSTO DANNO TELEFONA SUBITO AL NUMERO 051

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PARLERAI CON L’AVVOCATO SERGIO ARMAROLI

Risarcimento Errore Medico-Malasanità risarcimento danni, errore medico risarcimento danni-morte del paziente risarcimento ai famigliari medica assicurazioni

Qualora una persona abbia riportato lesioni o problemi gravi a Bologna,Ravenna Forli ,Cesena,Lugo , in seguito ad interventi chirurgici o cure non adatte al tipo di patologia, derivanti dall’imperizia e della disattenzione di medici o personale infermieristico, può chiedere assistenza legale per far accertare le responsabilità di chi gli ha cagionato il danno. Denunciare un caso di malasanità a Bologna,Ravenna Forli ,Cesena,Lugo , ed ottenere un giusto risarcimento Denunciare un caso di malasanità ed ottenere un giusto risarcimento è un diritto di ogni cittadino ed un’occasione anche per far aumentare la vigilanza sull’operato dei medici e sulla loro efficienza. Infatti secondo le normative italiana i soggetti che hanno subito conseguenze da un errore medico a Firenze o i suoi eredi in caso di morte, possono agire contro la struttura sanitaria o il suo personale medico e paramedico, entro 10 anni dall’evento occorso ed hanno diritto al risarcimento danni e dal rimborso di tutte le spese a a Bologna,Ravenna Forli ,Cesena,Lugo

. Per poter procedere contro il caso di malasanità a Bologna,Ravenna Forli ,Cesena,Lugo , è necessario conservare tutta la documentazione sanitaria e le ricevute delle spese sostenute. Cartelle cliniche, certificati, esami diagnostici e qualsiasi altro documento da cui risulti sia la patologia che il danno derivante dall’intervento o dalla cura sbagliata sono fondamentali per poter verificare le effettive conseguenze imputabili ad errori medici e poter agire contro di essi.

Per fare il calcolo del danno biologico e determinare quindi l’entità del risarcimento danni ci si basa su tabelle elaborate da vari tribunali, in particolare sulla tabella del Tribunale di Milano.

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Offriamo assistenza medica e legale 

Analisi del caso – Perizia medico legale – Quantificazione dei danni – Pratiche di risarcimento

negligenze / imperizie / imprudenze da parte di medici ed infermieri, talvolta nel corso di prestazioni (soprattutto diagnostiche) routinarie, senz’altro evitabili alla luce delle conoscenze scientifiche, delle linee guida e dei protocolli in vigore;

QUALI I SETTORI PIU’ ESPOSTI PER LA MASANITA’ ?

sono generalmente i seguenti:

Anestesia;

Chirurgia generale ed estetica;

Ginecologia e ostetricia;

Oculistica;

Oncologia

Gli errori medici più comuni, invece, riguardano:

diagnosi errata o tardiva;

mancata esecuzione di esami che pregiudica lo stato di salute del paziente;

intervento chirurgico eseguito senza le opportune attenzioni del caso;

cattiva gestione della fase post-operatoria

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA

Terza Sezione Civile

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssaMaria Laura Benini ha pronunciato ex art. 281 sexiesc.p.c.la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 12708/2018 

promossa da

X, con il patrocinio dell’avv.Pedicone Giovanni, elettivamente domiciliato in Via G. Parini 31/A, 64021 Giulianova, presso il difensore avv. Pedicone Giovanni (attore)

contro

ISTITUTO ORTOPEDICO RIZZOLI DI BOLOGNA – ISTITUTO DI RICOVERO E CURA A CARATTERE SCIENTIFICO, con il patrocinio dell’avv. Tavazzi Michele, elettivamente domiciliato in Via G. Marconi 9, 40121 Bologna, presso il difensore avv. Tavazzi Michele (convenuto)

CONCLUSIONI

Parte attrice ha concluso come da note conclusive, insistendo per la remissione in istruttoria della causa; pare convenuta come da prima memoria ex art. 183 co. VI c.p.c.

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

X ha agito in giudizio chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito dei trattamenti sanitari ricevuti presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli, ove in data 12.10.2010 e 17.09.2015 era stata sottoposta a due interventi chirurgici all’avampiede sinistro. Lamentava che i due interventi non avessero avuto l’esito sperato e la esistenza di errori iatrogeni, ritenendo, in particolare, non adatta la scelta terapeutica del secondo intervento.

Precisava che in data 18.07.2016 era stato instaurata procedimento per ATP ex art.696 bis c.p.c., di cui peraltro eccepiva la nullità per il tardivo deposito della Consulenza, oltre che per il fatto che, non avendo presenziato il CTP di parte convenuta al primo incontro, non era stato possibile esperire il tentativo di conciliazione. Contestava poi che fosse stata acquisita dal CTU documentazione senza l’instaurazione del contraddittorio delle parti.

Riteneva dunque parte attrice che le gravi lesioni riportate a seguito degli erronei interventi fossero interamente ascrivibili alla condotta colposa dei sanitari ed operatori dell’Istituto Rizzoli, ai quali andava addebitato anche un vizio di informazione del consenso reso.

In via subordinata lamentava un danno da perdita di chance.

Sì costituiva in giudizio l’Istituto Ortopedico Rizzali, chiedendo in via pregiudiziale la sospensione del giudizio fino alla definizione del precedente (ed analogo) giudizio promosso dall’attrice ovvero la riunione dei due procedimenti; nel merito, evidenziava che la Consulenza espletata nel procedimento ex art.696 bis c.p.c. aveva escluso qualsivoglia profilo di responsabilità dei sanitari dello IOR rispetto all’attuale condizione psico-fisica dell’attrice. Negava la sussistenza di vizi del consenso informato così come l’esistenza del preteso danno da perdita di chance. Quanto alla eccepita nullità della Consulenza, rilevava come irrilevante fosse la mancata partecipazione del proprio CTP al primo incontro e come buona parte della documentazione di cui parte attrice denunciava l’acquisizione fosse stata fornita da lei stessa.

Chiedeva pertanto rigetto della domanda attorea e, in subordine, la riduzione del quantum del risarcimento, anche tenuto conto del concorso attoreo ex art.1227 1° co. c.c. per non essersi più presentata l’attrice ai controlli programmati.

Nel corso del giudizio veniva disposta l’acquisizione del fascicolo del procedimento ex art.696 bis c.p.c. espletato ante causam.

***

Preliminarmente si rileva come l’eccezione sollevata da parte attrice circa la nullità dell’espletato procedimento ex art.696 bis c.p.c. sia infondata e, conseguentemente, vada respinta.

Quanta alla mancata partecipazione del CTP di parte convenuta al primo incontro e, alla conseguente impossibilità di espletare il tentativo di conciliazione, pare sufficiente rilevare come la norma preveda che il Consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenti, ove possibile, la conciliazione delle parti, senza sancirne dunque l’obbligo né la nullità in caso di omissione.

In merito al tardivo deposito della CTU, la Suprema Corte ha chiarito (cfr. Cass. 6195/14) che”l’inosservanza, da parte del consulente tecnico d’ufficio, del termine assegnatogli per il deposito della consulenza non comporta di regola alcuna nullità, se non in particolari casi nel rito del lavoro“. Il termine di deposito della consulenza tecnica preventiva ha infatti carattere ordinatorio ed il giudice può consentire il deposito della relazione anche dopo la scadenza del termine stesso (cfr. Cass. 8406/14). Venendo infine alla acquisizione di ulteriore documentazione da parte del CTU in corso di procedimento ex art.696 bis c.p.c. si rileva come, nel silenzio della norma, debba ritenersi che il consulente possa acquisire ulteriore documentazione rispetto a quella depositata dalle parti nella fase iniziale del procedimento; nei confronti delle parti, infatti, non è ancora maturata alcuna barriera preclusiva, tenuto conto che le stesse potranno ancora produrre ulteriori prove documentali nel corso del giudizio di merito.

Sul punto non appaiono ostative le sentenze evidenziate da parte attrice in sede di discussione né la recente pronuncia della S.C. n.31886/19, che si riferisce alle preclusioni istruttorie di cui all’art.183 co. 6 c.p.c.

Né del resto è stato violato in alcun modo il diritto di difesa, essendo avvenuta l’acquisizione nel rispetto del contraddittorio e con l’accordo delle parti; nella Consulenza si dà espressamente atto che l’avv. Pedicone non aveva nulla in contrario nel reperire altra iconografia direttamente dallo IOR e che i CCTTPP non ponevano nulla in contrario rispetto alla valutazione di tutta la documentazione sanitaria rilevando la necessità di valutazione strumentale per poter meglio coagulare la sintesi clinica della vicenda in esame; cfr. anche lettera del 16.1.2017 dott. Pilotti. Il CTU ha poi avvisato formalmente in data 19 aprile 2017 l’avv. di parte attrice e i CCTTPP della richiesta di documentazione allo IOR. 

E ciò a prescindere dal rilievo che parte della documentazione della cui acquisizione parte attrice si duole, è stata da lei stessa prodotta.

Nel merito, il Consulente ha accertato come la sig.ra X soffrisse di intense a]gie al piede sinistro già dal 2002, armo in cui fu sottoposta ad intervento chirurgico di osteotomia (“intervento secondo Scarf; Weil”) per la correzione di alluce valgo (cfr. doc. san.). Tale patologia provocava metatarsalgia già 13 anni prima dell’intervento di causa, tanto da rendere indicato, secondo i curanti dell’epoca, l’intervento chirurgico stesso.

Due anni dopo il primo intervento ortopedico la attrice si rivolgeva ai Sanitari del Pronto Soccorso di Teramo per sintomatologia legata allo stesso avampiede, che, ancora affetto da valgismo e dito a martello, presentava, verosimilmente per vizio d’appoggio,ipercheratosi plantare all’avampiede. Il medico di Pronto Soccorso consigliava nuova visita ortopedica. Ciò rende evidentecome vi sia stata recidiva di alluce valgo già nell’anno 2004. 

In sede di prima memoria istruttoria parte attrice ha modificato le proprie conclusioni, non reiterando le contestazioni in ordine al primo intervento effettuato presso l’IOR. 

Tale modifica è stata ribadita in sede di note conclusive.

In ogni caso CTU ha ritenuto che data la presenza di recidiva di alluce valgo a sinistra, di dita “en griffe” e di metatarsalgia, risulta corretta l’indicazione all’intervento chirurgico all’avampiede eseguito in data 12 ottobre 2010 presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Nel caso di specie i chirurghi hanno optato per un intervento di “osteotomia 1° metatarsale, Akin e artrodesi interfalangee prossimali delle dita esterne”. Inoltre, dall’esame della documentazione sanitaria e dalle immagini radiografiche, l’intervento chirurgico in questione risulta correttamente eseguito.

Risulta altresì corretta l’indicazione a chirurgia ortopedica posta in data 2 dicembre 2014, essendo presente, come riscontrato in documentazione, dolore da conflitto con la calzatura, metatarsalgia e deformità.

Per quanto riguarda la scelta del tipo di intervento proposto (nel caso di specie “artrodesi” della prima MTF), fortemente contestata dalla parte attrice, il Consulente ha evidenziato che esistono più di cento metodiche chirurgiche diverse per la correzione dell’alluce valgo e, sta al chirurgo la scelta di quella più indicata al caso specifico.

L’intervento di artrodesi risulta essere spesso un intervento “di salvataggio”, utilizzato in casi quale quello in esame, per togliere il dolore in piedi con patologia recidivata dopo chirurgia. Il caso di specie rientra dunque tra quelli che possono necessitare di interventi d’artrodesi, dato che la sig.ra X era già stata sottoposta a due interventi all’avampiede, i quali non erano però risultati risolutivi. Ha quindi ritenuto condivisibile la scelta del tipo di intervento (artrodesi) effettuata dai curanti.

Per quanto attiene all’approccio chirurgico ha precisato che l’intervento posto in essere in data 17 settembre 2015 risulta non di semplice esecuzione, operato su di un piede già due volte sottoposta ad intervento di osteotomia correttiva. Inoltre la deformità non era limitata all’alluce, ma, a vario grado, anche alle altre dita del piede sinistro, rendendo ancora di più difficile esecuzione l’intervento. “La presenza all’esame obiettivo all’ingresso di grave deformità in valgo dell’alluce, con movimenti della 1a MTF concessi solo per pochi gradi e dolenti, deviazione laterale delle dita esterne con lussazione della 4a MTF e griffe del 5° dito non riducibile, metatarsalgia sinistra con deficitfunzionale statico e deambulatorio, poneva all’attenzione dei professionisti o la scelta di reintervenire, o lasciare che l’evoluzione naturale ponesse le articolazioni dell’avampiede in sicura artrosi e conseguente deformità ossea. L’intervento di artrodesi della 1a MTF stabilizzata con 3 fili di K e stabilizzazione della 2a, 3a e 4a MTF con fili di K e resezione della testa del 5° metatarso si articolava anche in questo caso su una scarsa qualità dell’osso dovuta purtroppo al pregresso“.

Il CTU non ha quindi ravvisato criticità imputabili all’operato dei curanti.

Quanto agli esiti lamentati, descritti come “claudicatio con impossibilità a flettere ed estendere il collo piede con il blocco totale delle articolazioni del piede”, ha precisato il CTU che “va a configurare dunque un quadro peggiorativo, di una condizione già esistente, dovuto nel caso di specie soprattutto alla preesistenza di una particolare condizione fisica, prevedibile ma non prevenibile nell’espressione obiettiva e nelle manifestazioni cliniche e quindi evitabile“.

Ed infatti gli esiti obiettivati a carico del piede sinistro dalla sig.ra X risultano riconducibili agli interventi posti in essere nel 2002, 2010, 2015, nonché all’evoluzione della patologia stessa.

È possibile riferire l’ipofunzionalità della caviglia così come la difficoltà alla deambulazione, comeesiti prevedibili ma non prevenibili rispetto all’intervento del 2015; cfr. pag. 28: “la causa dellacomplicanza, data la complessità dell’intervento contestato, non è ascrivibile alla condotta dei sanitari, nel senso che non pare, a chi scrive, se pur prevedibile in senso oggettivo, certamente prevenibile ed evitabile“.

Quanto alla lamentata patologia psichiatrica, il CTU ha osservato -in ogni caso- come tale patologia richieda, per essere diagnosticata, una particolare intensità dell’evento psico-traumatico; e per quanto alcuni incidenti medici possano essere inclusi tra gli eventi traumatici capaci di innescare il disturbo, questi sono di entità di gran lunga superiore al caso della sig.ra X.

Inoltre vi erano delle preesistenze, riferite dalla stessa sig.ra X in sede di visita medico legale (“problemi di ordine psicologico che riconduce causalmente al terremoto dell’Aquila del 2009, periodo nel quale il marito ha sofferto di 2 episodi di infarto miocardico“).

Ha quindi concluso quanto sia poco probabile che la sig.ra soffra del disturbo psichiatrico riferito e soprattutto quanto sia difficile ricondurre tale disturbo, pur se dovesse essere accertato, agli interventi chirurgici all’avampiede sinistro eseguiti dai curanti dello IOR.

Ritiene questo Giudice di dover aderire alle conclusioni cui é giunto il CTU in quanto congruamente motivate e frutto di un corretto iter logico-argomentativo.

Quanto alla lamentata violazione del consenso informato, va innanzitutto rilevato che la domanda èstata tempestivamente proposta in atto di citazione (cfr. pag. 9). È vero che poi parte attrice non ha provveduto ad una sua quantificazione, ma in sede di conclusioni ha comunque chiesto il risarcimento “di quell’altra somma ritenuta di Giustizia, a titolo di risarcimento di danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dall’istante e per tutti i titoli esposti in narrativa“.

Tanto premesso si osserva che la Suprema Corte con la recente pronuncia n.28985/19 ha precisato come la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente- sul quale grava il relativo onere probatorio – se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento (onde non subirne le conseguenze invalidanti); un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità) diverso dalla lesione del diritto alla salute.

Quanto al primo aspetto, la parte non ha dedotto, prima ancora che provato, che se correttamente informata delle possibili complicanze non si sarebbe sottoposta all’intervento.

Quanto alla lesione del diritto all’autodeterminazione, l’attrice non ha specificato quali conseguenze dannose le sarebbero derivate, limitandosi ad allegare la sussistenza di danni in relazione alla sua “qualità e dignità di vita” (cfr. atto di citazione pag. 9).

Ma, come ribadito nella pronuncia citata, è impredicabile la esistenza di danni in re ipsa nell’attuale sistema della responsabilità civile.

Ne consegue pertanto che la domanda attorea va respinta, e ciò anche con riferimento alla dedotta perdita di chance, non essendo peraltro predicabile un errore di diagnosi e di scelta terapeutica.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Non si ritiene sussistano i presupposti per la condanna ai sensi dell’art.96 co.3 c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:

-respinge la domanda attorea;

-condanna parte attrice alla refusione delle spese di lite, che si liquidano in € 8.570,00 per compensi, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Bologna, 17 gennaio 2020.

IL GIUDICE

dott.ssa Maria Laura Benini

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020.

MALASANITA’ - RESPONSABILITA’ MEDICA – MANCATA DIAGNOSI TUMORE AVVOCATI A BOLOGNA - STUDIO LEGALE AVVOCATO SERGIO ARMAROLI
MALASANITA’ – RESPONSABILITA’ MEDICA – MANCATA DIAGNOSI TUMORE AVVOCATI A BOLOGNA – STUDIO LEGALE AVVOCATO SERGIO ARMAROLI

Sono un avvocato cassazionista esperto di danni per responsabilità medica e malasanita’ in risarcimento del danno per malasanità .

 

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Nel novero di queste “prestazioni” e, segnatamente, tra quelle “curative” (secondo l’espressa definizione normativa, di cui al combinato disposto degli artt. 19 e 25) la medesima L. n. 833 include l'”assistenza medico-generica”, che l’art. 14, comma 3, lett. h), individua come specifico compito in capo alle Unità sanitarie locali.

Pertanto, in forza delle citate disposizioni, le USL “provvedono ad erogare” l’assistenza medico-generica sia in forma domiciliare, che ambulatoriale, assicurando i livelli di prestazioni stabiliti dal piano sanitario nazionale.

I coniugi B.P. e V.M. convennero in giudizio l’Azienda Regionale Usl (OMISSIS) di Chivasso e L.L., medico di base, perchè fosse accertata la responsabilità di quest’ultimo (a causa del suo negligente comportamento, consistito nell’esser intervenuto con estremo ritardo – soltanto nel pomeriggio del (OMISSIS) -, allorchè chiamato – la mattina del (OMISSIS) – dalla moglie del B., che presentava sintomi di ischemia cerebrale, e nel prescrivere poi cure del tutto inadeguate) e fossero condannati entrambi i convenuti al risarcimento dei danni patiti dai medesimi attori a seguito della paralisi della parte sinistra del corpo della quale era rimasto affetto il B., con necessità di assistenza e cure continue.

BOLOGNA-RAVENNA-RIMINI- VICENZA TREVISO -AUSL RISPONDE DELLA NEGLIGENZA MEDICO DI BASE –AVVOCATI A BOLOGNAn forza delle suddette disposizioni, la prestazione medico-generica avviene sia in forma ambulatoriale che domiciliare nei confronti del cittadino “iscritto in singoli elenchi periodicamente aggiornati presso l’unità sanitaria locale” nel cui territorio lo stesso ha la residenza ed è prestata dal personale dipendente del servizio pubblico (laddove l’assetto organizzativo delle USL lo consenta) o dal personale con esso convenzionato.

Da un lato quindi l’utente nella scelta del proprio medico di fiducia è chiamato a optare tra il medico pubblico dipendente operante nelle USL (divenute ASL) o il medico convenzionato operante nel comune di residenza dell’utente del S.S.N.; dall’altro lato il medico viene selezionato sulla base di parametri definiti da accordi regionali ed iscritto in appositi elenchi e viene remunerato direttamente dall’ASL; nessun obbligo remunerativo sussiste invece in capo all’utente ed anzi il pagamento anche parziale della prestazione professionale da parte di quest’ultimo comporta il venir meno del rapporto di convenzionamento con il S.S.N.

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L’utente, dunque, attiva l’erogazione della prestazione curativa di assistenza medico-generica (che è prestazione di durata), cui è tenuta la USL (per il S.S.N.: L. n. 833 del 1978, art. 10), con la scelta, nei confronti della medesima USL, del sanitario di fiducia, individuato in un determinato contesto territoriale e (ove non pubblico dipendente, se una tale scelta sia resa esercitabile) soltanto tra i medici convenzionati con la USL competente (a loro volta oggetto di accesso selettivo); il medico prescelto è tenuto a prestare l’assistenza medico-generica in quanto convenzionato con la USL e in forza di tale rapporto di convenzionamento. Salvo l’ipotesi della cessazione del rapporto fiduciario nei modi e nei limiti consentiti (dalla stessa USL), il medico convenzionato “è tenuto alla prestazione” (espressione che utilizza anche l’art. 48, comma 3, n. 11, allorquando consente l’ipotesi di sostituzione temporanea del medico di “fiducia”), ossia non può rifiutare di prestare, in favore dell’utente del S.S.N., l’assistenza medico-generica, in quanto prestazione curativa definita secondo livelli uniformi.

BOLOGNA-RAVENNA-RIMINI- VICENZA TREVISO -AUSL RISPONDE DELLA NEGLIGENZA MEDICO DI BASE –AVVOCATI A BOLOGNASUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 27 marzo 2015, n. 6243

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SEGRETO Antonio – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15749-2012 proposto da:

V.M. ((OMISSIS)), in proprio e quale erede del Sig. B.P., B.E. ((OMISSIS)), in qualità di erede del Sig. B.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VICOLO ORBITELLI 31, presso lo studio dell’avvocato ZENCOVICH VINCENZO ZENO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati AMBROSIO RENATO e OLIVA UMBERTO giusta procura speciale a margine del ricorso;

Avvocato Sergio Armaroli
Avvocato Sergio Armaroli

– ricorrenti –

contro

ASL TO (OMISSIS) (già ASL (OMISSIS) di Chiavasso), in persona del Direttore Generale pro tempore, dott. BO.FL., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 19, presso lo studio dell’avvocato LANIA ALDO LUCIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CITTERIO ALESSANDRO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

L.L. e BI.PA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1830/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 22/12/2011, RR.GG.NN. 2116/2008, 2209/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/01/2015 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato UMBERTO OLIVA; udito l’Avvocato ALDO LANIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. – I coniugi B.P. e V.M. convennero in giudizio l’Azienda Regionale Usl (OMISSIS) di Chivasso e L.L., medico di base, perchè fosse accertata la responsabilità di quest’ultimo (a causa del suo negligente comportamento, consistito nell’esser intervenuto con estremo ritardo – soltanto nel pomeriggio del (OMISSIS) -, allorchè chiamato – la mattina del (OMISSIS) – dalla moglie del B., che presentava sintomi di ischemia cerebrale, e nel prescrivere poi cure del tutto inadeguate) e fossero condannati entrambi i convenuti al risarcimento dei danni patiti dai medesimi attori a seguito della paralisi della parte sinistra del corpo della quale era rimasto affetto il B., con necessità di assistenza e cure continue.

Si costituirono sia l’Azienda Usl (OMISSIS) di Chivasso, che il L., contestando la fondatezza della domanda.

All’esito di istruttoria (con assunzione di prove testimoniali e espletamento di c.t.u.), l’adito Tribunale di Torino, sezione distaccata di Chivasso, con sentenza non definitiva del febbraio 2007, dichiarò la responsabilità del L. (in ragione del comportamento colposo dovuto ad intempestività della visita domiciliare, al mancato rilievo delle “gravi condizioni” del paziente e all’omessa urgente sua ospedalizzazione) e rimise la causa in istruttoria per provvedere ad un supplemento di c.t.u. (al fine di verificare se una tempestiva diagnosi ed un immediato trattamento farmacologico con aspirina avessero potuto contenere gli effetti dell’attacco ischemico).

Espletato il supplemento di c.t.u. (i cui esiti furono convergenti sul fatto che il tempestivo trattamento farmacologico avrebbe avuto effetti contenitivi del danno alla salute del paziente), con sentenza definitiva del marzo 2008, lo stesso Tribunale condannò in solido L.L. e l’Azienda Regionale ASL (OMISSIS) di Chivasso al risarcimento dei danni patiti dagli attori.

  1. – Avverso tale decisione proponevano impugnazione sia l’ASL TO (OMISSIS) (già ASL (OMISSIS) di Chivasso), che L.L., al quale resistevano i coniugi B. e V.

La Corte di appello di Torino, con sentenza resa pubblica in data 22 dicembre 2011: accoglieva il gravame della ASL TO (OMISSIS), rigettando la domanda risarcitoria proposta da B.P. e V.M. nei suoi confronti, con integrale compensazione delle spese di primo grado tra le stesse parti; rideterminava in complessivi Euro 70.000,00, a seguito della morte del B. il (OMISSIS), la somma dovuta dal L. a titolo di risarcimento del danno futuro;

confermava nel resto la sentenza di primo grado; compensava interamente le spese di appello tra la ASL e gli appellati originari attori; condannava il L. al pagamento delle spese del grado in favore degli appellati.

2.1. – Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale escludeva la responsabilità ai sensi dell’art. 1228 cod. civ. della ASL TO (OMISSIS) osservando, segnatamente, che:

il SSN assume nei confronti dei cittadini obblighi organizzativi, ma non assume, in base alla L. n. 833 del 1978, “un obbligo diretto avente ad oggetto il contenuto della prestazione professionale”; gli artt. 14 e 25 della citata legge n. 833 non sono di per sè fondanti “la esistenza di un contratto “a monte” fra il paziente e l’ASL”, cosi come lo stesso art. 25 non fonda l’obbligazione della struttura ospedaliera nei confronti del paziente, la quale deriva dalla conclusione del contratto d’opera professionale con lo stesso; non può ritenersi concluso un contratto tra ASL e paziente nel momento in cui quest’ultimo chiede la prestazione al suo medico di base, non essendovi alcun contatto, o diretto rapporto, tra la prima ed il secondo (come invece sussiste tra struttura ospedaliera e paziente ivi ricoverato, che beneficia di prestazione sia alberghiera, che professionale), “in quanto le prestazioni professionali cui il paziente ha diritto si esauriscono solo in quelle che dovranno essergli fornite dal suo medico di base”; anche la teoria del “contatto sociale”, pur ammettendo l’implicita accettazione del contratto tra struttura ospedaliera e paziente, presuppone quanto meno la “conoscenza che la struttura ha del fatto che il paziente vi viene ricoverato”, quale elemento del tutto assente nel rapporto tra ASL e paziente a fronte della richiesta di prestazione al medico di base.

2.2. – La Corte torinese (richiamando anche Cass. pen., sez. 4, del 16 aprile 2003, n. 34460) escludeva, altresì, che la responsabilità della ASL convenuta potesse fondarsi sull’art. 2049 cod. civ., in assenza della ravvisabilità, anzitutto, di un rapporto di preposizione tra Azienda sanitaria e medico convenzionato, essendo quest’ultimo “un libero professionista del tutto autonomo, scelto dal paziente in piena libertà”, sul quale la stessa ASL non esercita alcun potere di vigilanza, controllo o direzione, là dove, poi, lo stesso assetto normativo “non distingue sostanzialmente, con riguardo al rapporto con il paziente, la posizione del medico convenzionato da quella del medico non convenzionato”, entrambi godendo “dello stesso tipo di libertà nell’esecuzione” delle loro prestazioni.

2.3. – Era da escludere – soggiungeva la Corte di merito – anche la sussistenza di un rapporto di immedesimazione organica, non essendo il medico di base dipendente della ASL, nè chiamato “a estrinsecare all’esterno la volontà dell’ente” o soggetto a direttive nell’ambito della “sua peculiare attività professionale”. L’inserimento del medico di base nell’organizzazione territoriale della ASL si esaurisce, dunque, sul piano organizzativo-amministrativo, ma non tocca “certamente il contenuto squisitamente professionale della prestazione del medico di base”, che non viene sindacata dalla stessa ASL, non essendovi alcuna norma che attribuisce a quest’ultima “un potere di vigilanza e controllo sul contenuto specifico della prestazione professionale medica del medico di base”.

  1. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono congiuntamente V.M. ed B.E., la prima in proprio ed entrambi quali eredi di B.P., affidando le sorti dell’impugnazione a due articolati motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la ASL TO (OMISSIS), mentre non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato L.L.

Il ricorso è stato notificato anche a Bi.Pa., ulteriore erede di B.P.

Motivi della decisione

  1. – Con un primo mezzo è denunciata, in via principale e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1228 cod. civ. e/o della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 1, art. 14, comma 3, lett. h), e art. 25, comma 3, e dell’art. 32 Cost.

Con un secondo mezzo è prospettata, in via subordinata e sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2049 cod. civ. e/o della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 1, art. 14, comma 3, lett. h), e art. 25, comma 3, e dell’art. 32 Cost.

La Corte territoriale, nell’escludere la responsabilità civile della ASL TO (OMISSIS) (già ASL (OMISSIS) di Chivasso) per i danni patiti dai coniugi B. e V. a seguito dell’illecito accertato nei confronti del medico di base L.L., avrebbe errato nell’applicazione delle norme anzidette e ciò alla luce delle ragioni, diffusamente argomentate, che gli stessi ricorrenti compendiano nel “quesito di diritto” (non già necessario ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., quale disposizione inapplicabile ratione temporis alla presente impugnazione) che segue, il quale individua nella sua effettiva portata la questione sottoposta all’esame di questa Corte: “Con riferimento al caso in cui sia stata accertata la responsabilità civile del cd. “medico di base” per i pregiudizi da questo arrecati ad un paziente iscritto al SSN, dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione adita se del risarcimento dei danni debba rispondere anche la ASL, con la quale detto professionista è convenzionato, ai sensi dell’art. 1228 c.c. e/o dell’art. 2049 c.c., regimi di responsabilità che prescindono dalla sussistenza di una culpa in vigilando del debitore principale (art. 1228 c.c.) o del padrone/committente (art. 2049 c.c.), disposizioni entrambe da interpretarsi alla luce di quanto espressamente stabilito sia dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 14, comma 3, lett. h (“nell’ambito delle proprie competenze l’unità sanitaria locale provvede in particolare:… h) all’assistenza medico-generica e infermieristica, domiciliare e ambulatoriale”), norma dalla quale si evince che sono le aziende sanitarie locali che, in quanto tenute in concreto a “provvedere” all’assistenza medico-generica, sono soggetti sia debitori (art. 1228 c.c.) e sia committenti (art. 2049 c.c.) delle prestazioni in questioni, e sia della L. n. 833 del 1978, art. 25, comma 3 (“l’assistenza medicogenerica e pediatrica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino”), norma dalla quale si ricava che la ASL (il soggetto istituzionalmente debitore delle prestazioni di medicina generale nei confronti degli iscritti al SSN) può alternativamente decidere, a propria discrezionalità e con suo rischio di impresa, per l’attuazione dell’assistenza medico generica e pediatrica, cui è obbligata ex lege, di avvalersi di propri dipendenti oppure di medici convenzionati, rimanendo in entrambe le ipotesi il debitore e committente delle prestazioni di medicina generale”.

  1. – Il primo motivo, prospettato in via principale, è fondato nei termini di seguito esposti.
  2. – La legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (L. 23 dicembre 1978, n. 833), innestatasi in un contesto ordinamentale che, da sempre, aveva registrato interventi settoriali e privi di organicità in materia di tutela della salute, ha comportato un capovolgimento di prospettiva, attribuendo effettività al precetto dell’art. 32 Cost., attraverso la previsione di un sistema, ispirato al principio della partecipazione democratica all’attuazione dello stesso Servizio sanitario (art. 1, comma terzo), di tutela indifferenziata (artt. 1 e 3) e globale (art. 2), anche tramite l’individuazione e la fissazione, in sede di approvazione del piano sanitario nazionale (art. 53), dei “livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini” (art. 3).

Nel novero di queste “prestazioni” e, segnatamente, tra quelle “curative” (secondo l’espressa definizione normativa, di cui al combinato disposto degli artt. 19 e 25) la medesima L. n. 833 include l'”assistenza medico-generica”, che l’art. 14, comma 3, lett. h), individua come specifico compito in capo alle Unità sanitarie locali.

Pertanto, in forza delle citate disposizioni, le USL “provvedono ad erogare” l’assistenza medico-generica sia in forma domiciliare, che ambulatoriale, assicurando i livelli di prestazioni stabiliti dal piano sanitario nazionale.

Avente diritto all’erogazione della “prestazione curativa” di assistenza medico-generica, alla quale è tenuta la USL in base a livelli definiti, è, dunque, il “cittadino”, in quanto “utente” del S.S.N. e come tale iscritto “in appositi elenchi periodicamente aggiornati presso l’unità sanitaria locale nel cui territorio” lo stesso ha la residenza (art. 19, comma 3). Ed è proprio tramite detta iscrizione che l’utente esercita il diritto di libera scelta del medico, che è assicurato “nei limiti oggettivi dell’organizzazione sanitaria”, cosi godendo dell’assistenza medico- generica, la quale, per l’appunto, “è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino” (art. 25, comma 3).

Dunque, la medesima prestazione curativa è erogata in favore dell’utente o tramite personale dipendente del servizio pubblico, oppure attraverso personale convenzionato con il medesimo servizio (L. n. 833 del 1978, art. 48 e, successivamente, D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, le quali disposizioni demandano la disciplina del rapporto convenzionato ad appositi accordi collettivi nazionali).

Sicchè, la scelta del “medico di fiducia”, ove non si opti per il medico pubblico dipendente operante nella USL (giacchè la legge postula anche una tale alternativa, sempre frutto di opzione fiduciaria, là dove questa sia resa concretamente esercitabile in forza di apposito modulo organizzativo in seno alla medesima USL), dovrà necessariamente cadere sul medico convenzionato operante nel comune di residenza dell’utente del S.S.N. (art. 25, comma 4), il quale medico, a sua volta, è selezionato “secondo parametri definiti nell’ambito degli accordi regionali”, in modo tale che l’accesso “alle funzioni di medico di medicina generale del Servizio sanitario nazionale… sia consentito prioritariamente ai medici forniti dell’attestato di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 256, art. 2” (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, lett. g).

La scelta del medico convenzionato per l’assistenza medico-generica avviene, dunque, nei confronti della USL, che cura la tenuta di appositi elenchi in cui sono inseriti i medici con i quali è stato previamente instaurato, con la medesima USL, lo specifico rapporto di convenzionamento (cfr., sin d’ora, il D.P.R. 22 luglio 1996, n. 484, artt. 19 e 26, che ha recepito l’accordo collettivo per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 502 del 1992, e la cui natura di fonte normativa secondaria consente a questa Corte di conoscerlo direttamente: cfr., tra le tante, Cass., 16 aprile 2013, n. 9171).

In siffatto circoscritto ambito la scelta del medico è, per l’appunto, di carattere fiduciario e tale rapporto – come prevede l’art. 25, comma 5 – “può cessare in ogni momento, a richiesta dell’assistito o del medico”; in quest’ultimo caso, tuttavia, “la richiesta deve essere motivata”.

Tale scelta è, dunque, un atto dell’utente del S.S.N. destinato a produrre i suoi effetti nei confronti dello stesso Servizio e, per esso, della USL nel cui territorio opera il medico (pubblico dipendente o) in regime di convenzionamento con la stessa USL (art. 48) e, dunque, non direttamente nei confronti del medico prescelto;

la rinuncia al medico è, del pari, atto dell’assistito/utente del S.S.N. che produce i suoi effetti nei confronti della USL e, analogamente, opera la ricusazione dell’utente da parte del medico prescelto, la quale, peraltro, deve essere sorretta da giustificazione e, dunque, rimane sindacabile dalla stessa USL (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 1, lett. a e b; D.P.R. n. 484 del 1996, art. 27).

L’utente, dunque, attiva l’erogazione della prestazione curativa di assistenza medico-generica (che è prestazione di durata), cui è tenuta la USL (per il S.S.N.: L. n. 833 del 1978, art. 10), con la scelta, nei confronti della medesima USL, del sanitario di fiducia, individuato in un determinato contesto territoriale e (ove non pubblico dipendente, se una tale scelta sia resa esercitabile) soltanto tra i medici convenzionati con la USL competente (a loro volta oggetto di accesso selettivo); il medico prescelto è tenuto a prestare l’assistenza medico-generica in quanto convenzionato con la USL e in forza di tale rapporto di convenzionamento. Salvo l’ipotesi della cessazione del rapporto fiduciario nei modi e nei limiti consentiti (dalla stessa USL), il medico convenzionato “è tenuto alla prestazione” (espressione che utilizza anche l’art. 48, comma 3, n. 11, allorquando consente l’ipotesi di sostituzione temporanea del medico di “fiducia”), ossia non può rifiutare di prestare, in favore dell’utente del S.S.N., l’assistenza medico-generica, in quanto prestazione curativa definita secondo livelli uniformi.

E in armonia con tale sistema, che impegna la USL alla erogazione della prestazione curativa di assistenza medicogenerica, l’utente e il prescelto medico convenzionato (in quanto tale) concentrano, quindi, il loro rapporto sul piano dello svolgimento in concreto della “prestazione curativa”, che sia riconducibile nell’alveo dell’assistenza medicogenerica.

3.1. – L’impianto appena descritto non ha subito sostanziali mutamenti a seguito delle riforme intervenute con il D.L. n. 384 del 1992 (convertito dalla L. n. 438 del 1992) e con il D.Lgs. n. 502 del 1992 (ulteriormente modificato dal D.Lgs. n. 517 del 1993).

L’assistenza medico-generica (o di base) è rimasta tra le prioritarie competenze delle USL (divenute ASL, ovvero aziende dotate “di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica”: art. 3 D.Lgs. n. 502), alle quali spetta di provvedere “ad assicurare i livelli di assistenza di cui all’art. 1 nel proprio ambito territoriale” (la cui diversa conformazione in “distretto”, già prevista dal citato art. 3, troverà compiuta definizione con la successiva riforma del 1999), ossia “i livelli di assistenza da assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale”, che, includono per l’appunto, detta assistenza medica di base.

In base al piano nazionale approvato per il triennio 1994-1996 (D.P.R. 1 marzo 1994), l’assistenza “sanitaria di base” è, infatti, inclusa tra i livelli uniformi di assistenza che devono essere assicurati e garantiti agli utenti del S.S.N., ricomprendendo, tra i vali “livelli analitici” nei quali essa si articola, il “livello di Medicina generale”, che è “costituito dal complesso delle seguenti attività e prestazioni: – visita medica generica e pediatrica, ambulatoriale e domiciliare, anche con carattere di urgenza, con rilascio, quando richiesto, di certificazioni mediche obbligatorie ai sensi della vigente legislazione; -eventuali prescrizioni di farmaci, di prestazioni di assistenza integrativa, di diagnostica strumentale e di laboratorio e di altre prestazioni specialistiche in regime ambulatoriale, proposta di invio a cure termali; – richiesta di visite specialistiche, anche per eventuale consulto, ai fini del rispetto della continuità terapeutica; – proposta di ricovero in strutture di degenza, anche a ciclo diurno; -partecipazione alla definizione e gestione del piano di trattamento individuale domiciliare in pazienti non deambulanti ed anziani”.

Tale è, dunque, nei termini generali – che, tuttavia, ne segnano l’ambito di erogazione – la “prestazione curativa” di assistenza medico-generica alla quale ha diritto l’utente nei confronti della ASL (già USL) ed alla quale, per essa (art. 25 citato), è obbligato il medico “di fiducia” convenzionato, in forza soltanto del rapporto di convenzionamento che lo lega alla ASL, il quale è stipulato (artt. 48 e 8 citati) in base alla disciplina contenuta in accordi collettivi nazionali.

Prestazione, questa, per la quale nessun obbligo remunerativo sussiste in capo all’utente nei confronti del medico “di fiducia”; ed anzi il “pagamento anche parziale da parte dell’assistito delle prestazioni previste in convenzione comporta il venir meno del rapporto con il Servizio sanitario nazionale” (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, lett. d). In altri termini, ciò costituisce illecito disciplinare tipico (D.P.R. n. 484 del 1996, art. 6, comma 2, e art. 13) che determina, per il medico, la sanzione della cessazione del rapporto di convenzionamento.

Il medico convenzionato è, infatti, remunerato dalla ASL in forza del rapporto di convenzionamento (L. n. 833 del 1978, art. 48 e D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8), il quale – come affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte (che ha esaminato la tematica eminentemente sotto il profilo della natura del rapporto lavorativo da esso instaurato) – da luogo non già ad un rapporto di lavoro subordinato (e, dunque, di pubblico impiego), bensì ad un rapporto di lavoro autonomo “parasubordinato” (e, dunque, di “prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale”, ai sensi dell’art. 409 c.p.c., comma 1, n. 3), trattandosi, dunque, di un rapporto professionale che si svolge, di norma, su un piano di parità, sebbene sia comunque costituito “in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica” (così, tra le tante, Cass., 13 aprile 2011, n. 8457).

Invero, l’assistenza medico-generica, in quanto “prestazione curativa” che è assicurata e garantita, secondo i livelli definiti dal piano sanitario nazionale, dal S.S.N., e per esso dalla ASL, rinviene, al pari delle ulteriori prestazioni rese dallo stesso S.S.N. (e degli oneri correlati per lo svolgimento complessivo del Servizio stesso), le risorse finanziarie necessarie dal “fondo sanitario nazionale” di cui alla L. n. 833 del 1978, art. 51. Si tratta di finanziamento pubblico al quale concorrono i cittadini con un contributo (art. 63 della medesima legge 833 e successivi interventi legislativi che ne hanno precisato l’ammontare e le modalità di determinazione, accertamento e riscossione, tra i quali la L. n. 438 del 1981, art. 16, la L. n. 41 del 1986, art. 31, la L. n. 413 del 1991, art. 14, la L. n. 421 del 1992, art. 1: già cd.

“tassa sulla salute”), che la giurisprudenza di questa Corte ritiene fermamente essere di natura tributaria, quale imposta (e non già tassa per la fruizione di un servizio) con destinazione del relativo gettito alla copertura di spese pubbliche, nonchè riconducibile, quale sovraimposta IRPEF, alle imposte sui redditi, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 (Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2871).

Il rapporto di convenzionamento, pertanto, si distingue nettamente da quello della “libera professione” che il medico di medicina generale può svolgere in favore di chiunque, ma al di fuori della prestazione curativa di assistenza medicogenerica, senza, peraltro, recare “pregiudizio al corretto e puntuale svolgimento degli obblighi del medico, nello studio medico e al domicilio del paziente”, che detto rapporto di convenzionamento impone (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 1, lett. c).

3.2. – Tale il quadro normativo rilevante ratione temporis, in riferimento all’epoca (dicembre 1997) in cui si è verificato il fatto illecito ascritto al medico di medicina generale L.L. (riconducibile – come, del resto, in nessun caso è contestato – nell’ambito della prestazione di assistenza medico-generica in favore di B.P., del quale il medesimo L. era “medico di fiducia”), la cui responsabilità civile è ormai oggetto di statuizione passata in cosa giudicata, non essendo stata impugnata in parte qua la sentenza della Corte di appello di Torino, la quale ha riformato la decisione di primo grado di condanna dello stesso L. al risarcimento danni soltanto in punto di determinazione del quantum debeatur.

3.3. – Invero, anche le successive vicende normative confermano il medesimo assetto ordinamentale, accentuando semmai – nell’ambito della compiuta definizione degli standard di assistenza sanitaria, ora quali “livelli essenziali di assistenza” (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, modificato dal D.Lgs. n. 269 del 1999: c.d. LEA) – i caratteri del sistema, in base ad una organizzazione sempre più volta a compenetrare l’azione delle “strutture operative a gestione diretta” (ossia quelle che si avvalgono del personale dipendente delle ASL) con i medici di medicina generale (art. 3-quinquies), ai quali resta sempre affidata l'”assistenza primaria, ivi compresa la continuità assistenziale”, la quale è realizzata attraverso “il necessario coordinamento e l’approccio multidisciplinare, in ambulatorio e a domicilio, tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, servizi di guardia medica notturna e festiva e i presidi specialistici ambulatoriali” (art. 3 citato).

Ed ancor più stringenti sono diventati i principi che devono essere considerati dagli accordi collettivi di cui all’art. 8 citato (come modificato dal citato D.Lgs. n. 229 e da successivi interventi legislativi), ai quali devono conformarsi le convenzioni con i medici di medicina generale. Principi che, tra l’altro, riguardano (comma 1): la necessità che le prestazioni da assicurare siano ricondotte ai LEA (lett. Oa) e che siano erogate in base a standard (lett. b- septies); l’organizzazione sull’arco dell’intera giornata dell’attività assistenziale, con offerta integrata tra medici di medicina generale, guardia medica e medicina dei servizi e degli specialisti ambulatoriali (lett. b-bis) ed individuazione di obiettivi e programmi da parte delle ASL (lett. b-sexies); la previsione dell’accesso “al ruolo unico per le funzioni di medico di medicina generale del Servizio sanitario nazionale”, in base ad “una graduatoria unica per titoli” (lett. f); la previsione della “adesione obbligatoria dei medici all’assetto organizzativo e al sistema informativo definiti da ciascuna regione, al Sistema informativo nazionale, compresi gli aspetti relativi al sistema della tessera sanitaria” (lett. m-ter).

ADSVETEMPODENATOSCRITTACiò in un contesto in cui viene ad affermarsi, dopo la riforma costituzionale del 2001, incidente sul Titolo 5 della Parte seconda della Costituzione, il concorso di competenze statali e regionali nella materia della tutela della salute, spettando allo Stato, in particolare, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117 Cost., comma 2, lett. m).

3.4. – In definitiva, l’impianto normativo sopra ricordato consente di affermare che l’assistenza medicogenerica è prestazione curativa che l’utente del S.S.N. ha diritto di ricevere secondo il livello stabilito dal piano sanitario nazionale (e, in epoca successiva, in base ai LEA) e, in questi termini, la ASL ha l’obbligo di erogare.

Tale è, del resto, la prospettiva verso cui, proprio in riferimento alle prestazioni assicurate dalla L. n. 833 del 1978, si è decisamente orientata la giurisprudenza costituzionale, assumendo che “ogni persona che si trovi nelle condizioni obiettive stabilite dalla legislazione sull’erogazione dei servizi sanitari ha “pieno e incondizionato diritto” a fruire delle prestazioni sanitarie erogabili, a norma di legge, come servizio pubblico a favore dei cittadini” (C. cost., sent. n. 455 del 1990 e, in precedenza, sent. n. 175 del 1982).

Dunque, occorre ribadire che il rapporto dell’utente con il S.S.N., nell’ambito del quale trova effettività il diritto alla salute (art. 32 Cost.) in quanto diritto costituzionale “a prestazioni positive”, basato su norme costituzionali di carattere programmatico (C. cost., sent. n. 218 del 1994), viene a connotarsi dei tratti del diritto soggettivo pieno ed incondizionato, ma nei limiti e secondo le modalità prescelte dal legislatore nell’attuazione della relativa tutela, ben potendo detti limiti e modalità essere conformati dai condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nella distribuzione delle risorse finanziarie disponibili (tra le altre, C. cost., sentenze n. 309 del 1999, n. 432 del 2005 e n. 251 del 2008).

3.5. – Il diritto soggettivo dell’utente del S.S.N. all’assistenza medico-generica ed alla relativa prestazione curativa, nei limiti stabiliti normativamente (dapprima, dal piano sanitario nazionale e, poi, dai LEA), nasce, dunque, direttamente dalla legge ed è la legge stessa ad individuare la ASL come soggetto tenuto ad erogarla, avvalendosi di “personale” medico alle proprie dipendenze ovvero in rapporto di convenzionamento (avente natura di rapporto di lavoro autonomo “parasubordinato”).

Il medico convenzionato, scelto dall’utente iscritto al S.S.N. nei confronti della ASL, in un novero di medici già selezionati nell’accesso al rapporto di convenzionamento e in un ambito territoriale delimitato, è obbligato (e non può rifiutarsi, salvo casi peculiari sorretti da giustificazione e, dunque, sindacabili dalla stessa ASL) a prestare l’assistenza medico-generica, e dunque la prestazione curativa, soltanto in forza ed in base al rapporto di convenzionamento (e non già in base ad un titolo legale o negoziale che costituisca un rapporto giuridico diretto con l’utente), il quale rappresenta altresì la fonte che legittima la sua remunerazione da parte, esclusivamente, della ASL (essendo vietato qualsiasi compenso da parte dell’utente).

Le prestazioni di assistenza medico-generica, che sono parte dei livelli uniformi (e, poi, dei LEA) da garantirsi agli utenti del S.S.N., sono, infatti, finanziate dalla fiscalità generale, alla quale concorrono tutti i cittadini con il versamento di una imposta.

3.6. – Si viene, dunque, a configurare a carico della ASL una obbligazione ex lege di prestare l’assistenza medicogenerica all’utente del S.S.N., che viene adempiuta attraverso (secondo l’ipotesi che specificamente qui interessa) l’opera del medico convenzionato.

Sebbene non derivante da “contratto” (nè, ovviamente, da fatto illecito), la sua fonte è comunque da ricomprendersi tra quelle contemplate dall’art. 1173 cod. civ. (ossia, in “atto e fatto idoneo a produrle”) e la relativa disciplina è quella, se non altrimenti specificamente derogata, di cui al titolo 1 (“Delle obbligazioni in generale”) del libro quarto del codice civile e cioè dettata dagli artt. 1173 e ss. cod. civ.. Si tratta, dunque, di obbligazione qaoad effectum contrattuale, per cui, segnatamente nella sua fase patologica, vengono in rilievo le disposizioni di cui agli artt. 1218 c.c. e ss.

In altri termini, posto che l’assistenza medico-generica si configura – nei limiti in cui la legge ne assicura l’erogazione – come diritto soggettivo pieno ed incondizionato dell’utente del S.S.N., questi è “creditore” nei confronti della ASL, che, in quanto soggetto pubblico ex lege tenuto ad erogare detta prestazione curativa (per conto del S.S.N.), assume la veste di “debitore”.

Il “debitore” ASL, nell’erogare la prestazione curativa dell’assistenza medico-generica, si avvale, poi, di “personale” medico dipendente o in rapporto di convenzionamento.

In particolare, il rapporto di convenzionamento, come detto, assume natura di rapporto di lavoro autonomo, ma con i caratteri della “parasubordinazione”, ossia – come affermato costantemente da questa Corte (tra le tante, Cass., 19 aprile 2002, n. 5698) – in presenza della continuità della prestazione, della sua personalità e, in particolare, della coordinazione, “intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall’ingerenza di quest’ultimo nell’attività del prestatore”. E tali caratteri sono stati da sempre riconosciuti dalla giurisprudenza di questa Corte (come in precedenza evidenziato) nel rapporto di convenzionamento tra medici generici e ASL, operando i primi per il soddisfare gli scopi istituzionali della seconda.

Proprio in tale ottica risulta, del resto, significativo il riferimento, che si coglie segnatamente nel citato D.P.R. n. 484 del 1996, alla figura del medico di medicina generale come “parte integrante ed essenziale dell’organizzazione sanitaria complessiva”, operando “a livello distrettuale per l’erogazione delle prestazioni demandategli dal Piano sanitario nazionale”.

Dunque, il medico generico convenzionato è ausiliario della ASL quanto all’adempimento (e, in tal senso, proprio limitatamente all’adempimento dell’obbligazione, senza incidere quindi sulla soggettività del relativo rapporto, il medico convenzionato può caratterizzarsi anche come sostituto della ASL), da parte di quest’ultima, dell’obbligazione ex lege di prestare assistenza medico- generica all’utente iscritto negli elenchi del S.S.N.

ADENAROSVEGLIAIl medico convenzionato non è, infatti, parte di detto rapporto giuridico obbligatorio, di durata, ma interviene nella fase del suo svolgimento, per rendere la prestazione curativa che la USL è tenuta per legge ad erogare secondo livelli prestabiliti normativamente. E l’adempimento dovrà avvenire nell’ambito di tale predeterminata prestazione, come tale soggetto al controllo della stessa ASL (cfr.

D.P.R. n. 484 del 1996, art. 12, sulla responsabilità del medicogenerico per infrazioni alle norme sulle prescrizioni e proposte sanitarie; cosi come, peraltro, il controllo del debitore ASL si esercita sull’idoneità dei locali e delle attrezzature utilizzati dal medico convenzionato per rendere la prestazione curativa dovuta, nonchè sul rispetto dell’orario, predeterminato, ad essa dedicato: art. 22 del medesimo d.P.R.), rimanendo la prestazione medesima, ovviamente, libera nei contenuti tecnici-professionali suoi propri (come, del resto, lo è in tutti i casi in cui essa viene prestata, sia in regime di subordinazione, che libero professionale), in quanto espressione di opera intellettuale a carattere scientifico, oggetto di protezione legale (art. 2229 cod. civ.).

3.7. – Di qui, pertanto, in ipotesi di illecito commesso dal medico convenzionato nell’adempimento della prestazione curativa di assistenza medico-generica, l’operatività dell’art. 1228 cod. civ. nei confronti della stessa ASL, quale norma che questa Corte, del resto, ha già ritenuto pienamente applicabile in riferimento alla posizione della struttura sanitaria pubblica (e, quindi, in relazione alla pubblica amministrazione) per l’attività sanitaria svolta dal personale medico dipendente, là dove la natura del rapporto che lega l’ausiliario al debitore non assume però rilievo ai fini dell’applicazione della stessa anzidetta disposizione.

Infatti, perchè possa operare l’art. 1228 cod. civ. non è affatto dirimente la natura del rapporto che lega il debitore all’ausiliario, ma trova fondamentale importanza la circostanza che il debitore in ogni caso si avvalga dell’opera del terzo nell’attuazione della sua obbligazione, ponendo tale opera a disposizione del creditore, sicchè la stessa risulti cosi inserita nel procedimento esecutivo del rapporto obbligatorio (Cass., 26 maggio 2011, n. 11590). La responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova allora radice non già in una colpa in eligendo degli ausiliari o in vigilando circa il loro operato, bensi nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione: “sul principio cuius commoda, cuius et incommoda, o, più precisamente, dell’appropriazione o “avvalimento” dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino” (così Cass., 6 giugno 2014, n. 12833).

3.8. – Nella fattispecie (diversamente, quindi, da altre ipotesi in cui il servizio pubblico venga devoluto a privati, come accade per le concessioni di pubblico servizio, là dove il rapporto che si instaura – al di là della fonte che lo possa regolare – è direttamente con il concessionario, il quale è debitore dell’utente del servizio e, pertanto, non ausiliario della p.a. concedente, potendo quest’ultima semmai rispondere dell’operato del concessionario solo per omessa vigilanza od omesso controllo), l’obbligo di erogare la prestazione curativa dell’assistenza medico- generica sussiste esclusivamente in capo alla USL ed essa è resa avvalendosi del medico con essa ASL convenzionato, che assume rilievo in guisa di elemento modale dell’adempimento di detta prestazione di durata, senza che tale fenomeno possa essere intaccato dalla “scelta” dell’utente, la quale, oltre ad essere effettuata a monte nei confronti del debitore ASL (senza giuridico coinvolgimento del medico prescelto), è ristretta “nei limiti oggettivi dell’organizzazione dei servizi sanitari” e, dunque, esercitabile nell’ambito del “personale” del S.S.N. che la stessa ASL ha previamente selezionato, mediante l’accesso al convenzionamento.

E’, dunque, una scelta che si realizza all’interno dell’organizzazione del servizio sanitario predisposto dalla ASL, del quale il medico convenzionato è parte integrante, e, quindi, come tale, cade sempre su un “ausiliario” della stessa ASL. In tale ottica rileva, pertanto, la stessa giurisprudenza di questa Corte che ha affermato l’irrilevanza, ai fini del riconoscimento della responsabilità ex art. 1228 cod. civ. della struttura sanitaria, della scelta del medico da parte del paziente (o del suo consenso su quella operata dalla stessa struttura), là dove il medico prescelto sia inserito nella struttura anzidetta (cfr., tra le altre, Cass., 14 luglio 2004, n. 13066; Cass., 2 febbraio 2005, n. 2042; Cass., 26 gennaio 2006, n. 1698; Cass., 13 aprile 2007, n. 8826).

Del resto, che il fattore della “scelta fiduciaria” non assuma rilievo dirimente negativo in funzione della configurazione del medico convenzionato come “ausiliario” è circostanza che trova conforto anche nel fatto – già in precedenza messo in risalto – che è la stessa legge a consentire che detta scelta possa investire, in via alternativa, pure il medico dipendente della ASL, cosi da rendere fungibili i possibili moduli organizzativi volti ad assicurare, da parte della ASL, la prestazione di assistenza medico-generica, nei limiti (livelli e standard) in cui questa è normativamente erogabile.

E ciò fornisce anche la dimensione di quanto l’aspetto attinente ai contenuti tecnico-professionali della prestazione non incida sulla complessiva ricostruzione giuridica che precede, posto che non è dato dubitare che anche il medico in regime lavorativo dipendente con la ASL – e, quindi, in rapporto di sicura “ausiliarietà” con la medesima Azienda – debba godere, ove fosse scelto come “medico di fiducia”, di piena autonomia quanto al concreto dispiegarsi della prestazione curativa in favore del paziente, utente del S.S.N..

Dunque, non può che ribadirsi che il medico generico (o di base) convenzionato, nello svolgimento della propria attività professionale, adempie una obbligazione della ASL nei confronti degli assistiti/utenti del S.S.N. e la adempie per conto e nell’interesse di quella.

3.9. – Quanto, poi, alla natura della responsabilità del medico convenzionato nei confronti dell’utente (profilo che, nella specie, non costituisce oggetto specifico di scrutinio, essendovi già il giudicato sulla responsabilità civile del L.), con il quale non sussiste alcun vincolo negoziale od obbligatorio ex lege preesistente all’espletamento in concreto della prestazione curativa, è sufficiente osservare che essa è da ricondursi al “contatto sociale”, tenuto conto dell’affidamento che egli crea per essere stato prescelto per rendere l’assistenza sanitaria dovuta e sulla base di una professione protetta. La sua prestazione (e per l’effetto il contenuto della sua responsabilità) per quanto non derivante da contratto, ma da altra fonte (art. 1173 cod. civ.), ha un contenuto contrattuale (in tal senso la consolidata giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 589 del 22 gennaio del 1999).

3.10. – Le complessive considerazioni che precedono consentono, quindi, di superare le obiezioni mosse dalla parte controricorrente, sulla scorta, segnatamente, della giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte (incentrata sull’assenza di controllo e vigilanza della ASL sul medico convenzionato, anche in relazione ai contenuti della prestazione prettamente professionale; sulla mancanza di immedesimazione organica del medico nella ASL; sulla mancanza di ogni rapporto, o “contatto”, tra ASL e cittadino paziente e sul riconoscimento che “unico debitore del “servizio sanitario” deve essere considerato il medico”: tra le altre, Cass. pen. n. 34460/2013, Cass. pen. n. 36502 del 2008, Cass. pen. n. 41982 del 2012), alla quale aveva fatto riferimento anche la Corte di appello di Torino nella impugnata sentenza, erroneamente escludendo la responsabilità civile della ASL TO (OMISSIS).

3.11. – Deve, pertanto, essere enunciato il seguente principio di diritto:

“L’ASL è responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal S.S.N. in base ai livelli stabiliti secondo la legge”.

  1. – Va, dunque, accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo mezzo (proposto solo in via subordinata alla reiezione del primo).

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ..

Come detto, vi è, difatti, giudicato sulla responsabilità civile del medico convenzionato L.L. per un fatto illecito concernente la prestazione curativa di assistenza medico-generica resa in favore di B.P., con condanna del medesimo L. al risarcimento dei danni, liquidati nei gradi di merito.

La ASL TO (OMISSIS) (già ASL (OMISSIS) di Chivasso) deve, pertanto, essere condannata, in solido con il L., al pagamento, in favore di V.M., in proprio e quale erede di B.P., e di B.E., quale erede di B.P., della stessa somma risarcitoria già liquidata (in base alla sentenza di primo grado, come parzialmente riformata dalla sentenza impugnata in questa sede) e posta a carico del medesimo L..

  1. – Quanto alla regolamentazione delle spese processuali, la ASL TO (OMISSIS) va condannata al pagamento di quelle relative ai gradi di merito, nella stessa misura liquidata a carico del L. in primo e secondo grado.

Le spese del presente giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra i ricorrenti e la ASL TO (OMISSIS), in ragione della novità e rilevanza della quaestio iuris su cui si è incentrata l’impugnazione. Devono, altresì, essere interamente compensate le anzidette spese tra gli stessi ricorrenti e gli intimati L. L. e Bi.Pa., in quanto l’impugnazione è stata, in questa sede, rivolta unicamente nei confronti della ASL.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo;

cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna la ASL TO (OMISSIS) (già ASL (OMISSIS) di Chivasso), in solido con L.L., al pagamento, in favore di V.M., in proprio e quale erede di B.P., e di B.E., quale erede di B.P., della stessa somma risarcitoria già liquidata e posta a carico del L. nei gradi di merito;

condanna, altresì, la medesima ASL TO (OMISSIS) al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese processuali dei due gradi merito, che liquida nello stesso importo già liquidato e posto a carico di L.L. in primo ed in secondo grado;

compensa interamente, tra tutte le parti, le spese di lite del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2015

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