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BANCAROTTA FRAUDOLENTA documentale amministratore

BANCAROTTA FRAUDOLENTA E SEMPLICE BOLOGNA

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La Cassazione, nel rigettare la tesi del ricorrente, osserva che l’elemento soggettivo proprio del delitto di bancarotta fraudolenta documentale (il quale punisce l’imprenditore fallito che, tra l’altro, ha tenuto i libri o le scritture contabili “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”) assume natura di dolo generico. Pertanto, per la configurazione del reato in questione, non è richiesta necessariamente una finalizzazione della condotta all’intenzione di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della fallita.

E’, invece, sufficiente la consapevolezza che una determinata tenuta della contabilità possa condurre a siffatte conseguenze, con ciò configurando la possibilità che la fattispecie possa essere integrata al solo ricorrere del dolo eventuale.

 

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Di contro, precisa la Cassazione, nelle condotte soppressive della contabilità (la bancarotta fraudolenta documentale si configura, infatti, anche con le condotte di sottrazione o distruzione della contabilità), l’offensività del fatto è caratterizzata dal dolo specifico di ingiusto profitto o di lesione delle ragioni dei creditori, “potendo essere dette condotte realizzate con modalità ed a fini diversi”.

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In sostanza, la connotazione del dolo, che si atteggia in modo diverso nelle due forme di bancarotta fraudolenta documentale descritte, non provoca una disparità di trattamento tra le due fattispecie ma rappresenta la conseguenza di due tipologie di condotte diverse, così come ricostruite dalla norma.

 

tale possibilità infatti determina la necessità di previa realizzazione di preventivo contraddittorio ai sensi della pur non unanime, ma consolidata giurisprudenza in materia: a seguito della sentenza CEDU 25. 5. 2009 Drassich contro l’Italia, l’imputato deve essere messo in grado di discutere in ogni fase di giudizio di tutti gli elementi di rilievo della accusa che gli viene formulata  e per la quale viene condannato; di conseguenza , per SC Cxxx 29.4.2011( confermata dalla 6487/12 dalla 28.10.11 n.6487 e prima ancora dalla SC 12.11.2008, 45807; e SC 19.02.2013 Jxxx e dalla SS UU 29.09.2011 n.155, Rxxx, che ne ribadisce i termini al punto 12 della motivazione), vi sarebbe nullità per violazione del diritto di difesa in caso di mancato invito a contraddittorio sulla ipotesi di derubricazione o di diversa rubricazione in punto di diritto , anche se il fatto rimane invariato e se la soluzione più favorevole all’imputato , perché egli deve poter interloquire sulla eventualità di una diversa qualificazione , e la difesa può diversamente atteggiarsi e modularsi in relazione a  tali possibilità; va perciò esclusa la possibilità di una attuazione a sorpresa del potere di nuova e diversa qualificazione della condotta ; e deve essere assicurata preventivamente alle parti la possibilità di interloquire in ordine alla eventualità di una diversa qualificazione giuridica del fatto;

 

Dunque, il reato di bancarotta fraudolenta documentale si configura non già attraverso una mera irregolarità contabile, ma è in ogni caso necessario che l’imprenditore sia consapevole che dalla irregolare tenuta delle scrittura contabili derivi l’impossibilità di ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della società; in altre parole, non serve che il rappresentante legale (di fatto o di diritto) “voglia” necessariamente ottenere tale intento distorsivo, essendo sufficiente il momento rappresentativo (e non anche volitivo) per l’astratta configurazione del reato in esame.

 

Quale sia la differenza tra una semplice irregolarità e una condotta fraudolenta spetta al giudice del merito individuare, valutando il vulnus inferto dalla condotta del reo alla corretta ricostruzione delle operazioni commerciali e delle disponibilità patrimoniali della società, nell’ottica del corretto mantenimento della garanzia patrimoniale del ceto creditorio.

 

 

Art. 217- L.F. Bancarotta semplice

«È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente:

1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;

2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;

3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;

4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa;

5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni».

Il ricorso è fondato e va accolto, dovendosi condividere le doglianze del ricorrente in ordine alla inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato.

Come è noto, infatti, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione a configurare l’elemento soggettivo del reato è sufficiente il dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa, con la consapevolezza che tale destinazione determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni della classe creditoria, non essendo invece richiesta la specifica conoscenza dello stato di dissesto della società (cfr. Cass., sez. V, 24/03/2010, n. 16579; Cass., sez. V, 23/04/2013, n. 28514; Cass., sez. V, 14.12.2012, n. 3229, rv. 253932; Cass., sez. V, 13.2.2014, n. 21846, rv. 260407).

Se ciò è vero, è, tuttavia, altrettanto vero che, al fine di distinguere il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione dalle ipotesi di bancarotta semplice di cui all’art. 217, co. 1, n. 1) e n. 2), l. fall., realizzate attraverso spese eccessive ovvero attraverso operazioni economiche di pura sorte o manifestamente imprudenti da parte dell’imprenditore fallito, assume un rilievo decisivo proprio il diverso atteggiarsi dell’elemento psicologico del reato.

 

Bene giuridico protetto

Corretta informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell’impresa. Le scritture contabili consentono una conoscenza documentata e giuridicamente utile del patrimonio del fallito.

due imputati; deduce, altresì, il ricorrente difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, mancando ogni richiamo ai parametri di cui all’art. 133, c.p., ed al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche attenuanti, che la corte nega facendo riferimento alla mancata compensazione del pregiudizio arrecato ai creditori, con motivazione attinente, in realtà, al diverso tema della diminuente ex art. 62, n. 6, c.p..

In data 18.6.2015 il difensore del ricorrente depositava copia della sentenza con cui la corte di appello di Milano, in data 10.5.2013, aveva riqualificato i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale per i quali lo S.G. era stato condannato in primo grado, in bancarotta semplice, ai sensi dell’art. 217, co. 1, n. 1, e co. 2, l.fall..

  1. Il ricorso è fondato e va accolto, dovendosi condividere le doglianze del ricorrente in ordine alla inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato.

Come è noto, infatti, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione a configurare l’elemento soggettivo del reato è sufficiente il dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa, con la consapevolezza che tale destinazione determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni della classe creditoria, non essendo invece richiesta la specifica conoscenza dello stato di dissesto della società (cfr. Cass., sez. V, 24/03/2010, n. 16579; Cass., sez. V, 23/04/2013, n. 28514; Cass., sez. V, 14.12.2012, n. 3229, rv. 253932; Cass., sez. V, 13.2.2014, n. 21846, rv. 260407).

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Se ciò è vero, è, tuttavia, altrettanto vero che, al fine di distinguere il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione dalle ipotesi di bancarotta semplice di cui all’art. 217, co. 1, n. 1) e n. 2), l. fall., realizzate attraverso spese eccessive ovvero attraverso operazioni economiche di pura sorte o manifestamente imprudenti da parte dell’imprenditore fallito, assume un rilievo decisivo proprio il diverso atteggiarsi dell’elemento psicologico del reato.

Quest’ultimo nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione non può prescindere, come si è detto, dalla consapevolezza che la diversa destinazione data al patrimonio sociale si traduce in un danno per il ceto creditorio, mentre tale consapevolezza è del tutto estranea alle fattispecie di bancarotta semplice innanzi indicate, punibili a titolo di colpa, quella di cui all’art. 217, co. 1, n. 2), l. fall. (cfr. Cass., sez. V, 16.7.1981, n. 10523; Cass., sez. V, 20.3.2003, n. 24231) ovvero, indifferentemente, a titolo di dolo (dal quale è esclusa la consapevolezza, da parte del soggetto attivo, del pregiudizio che la propria condotta arreca alla posizione dei creditori) o di colpa.

Ne consegue, come affermato in un condivisibile arresto del Supremo Collegio, che il giudice può ritenere integrata l’ipotesi di bancarotta semplice, qualora non sia raggiunta la prova del dolo tipico della dissipazione, anche nel caso di atti di gestione del tutto estranei alle esigenze di conduzione dell’impresa (cfr. Cass., sez. V, 23/10/2002, n. 38835, rv. 225398).

Allo stesso modo va ribadito il principio da tempo affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui le ipotesi di reato previste dagli articoli 216 e 217 della legge fallimentare, con riferimento alla tenuta delle scritture contabili, si differenziano per la diversa gradazione dell’elemento soggettivo, ragion per cui non è assolutamente possibile inferire l’esistenza del dolo di cui all’art. 216 semplicemente dalla sussistenza del fatto materiale (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 03/05/2012, n. 25093).

Ed invero la differenza tra la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall’art. 216, co. 1, n. 2), l. fall., e quella semplice prevista dall’art. 217, co. 2, stessa legge, consiste nell’elemento psicologico che, nel primo caso, viene individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore e, nel secondo caso, dal dolo o indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture; ne consegue che il dolo generico che caratterizza il reato fraudolento, dovendo consistere nella consapevolezza e volontà che la irregolare tenuta delle scritture renda impossibile la ricostruzione del patrimonio, non può corrispondere e non può essere ritenuta sovrapponibile alla pure semplice volontà di non tenere quelle stesse scritture. La differenza tra i due elementi psicologici richiamati sta nel fatto che soltanto il primo di essi, e cioè quello che caratterizza la bancarotta fraudolenta, deve risultare arricchito di componenti soggettive che afferiscano esplicitamente al tema della messa in pericolo dell’interesse dei creditori ad una ricomposizione completa ed esaustiva delle scritture sociali attinenti a tutte le iniziative economiche della società; un interesse che, a sua volta, viene generalmente desunto da indicatori precisi quali la consistenza del materiale documentale tenuto in violazione di legge oppure la correlazione di tale condotta con attività distrattiva che il disordine contabile appaia destinata, per l’appunto, a celare (cfr, ex plurimis, Cass., sez. V, 11/06/2014, n. 40015).

Orbene a fronte di uno specifico motivo di appello sul punto, la corte territoriale, con riferimento al profilo psicologico del reato, ha fornito una risposta del tutto carente, che non tiene conto dei principi di diritto sinteticamente riassunti nelle pagine precedenti, come si evince in maniera evidente anche dalla incertezza motivazionale con cui la stessa corte territoriale, nel replicare alla doglianza difensiva incentrata sull’avvenuta riqualificazione dei reati addebitati al coimputato S.G. da altra sezione della corte di appello di Milano in termini di bancarotta semplice, si esprime in termini assolutamente vaghi, affermando l’irrilevanza di tale decisione principalmente in ragione del “diverso ruolo che (secondo quella motivazione) i fratelli sembrerebbero avere svolto nell’ambito della gestione” della società fallita.

In conclusione, potendo, le condotte materiali contestate allo S. (consistenti nell’avere effettuato pagamenti di somme di denaro in favore di se stesso, del fratello Giancarlo e di B.F. e nell’avere omesso la consegna del libro giornale di contabilità al curatore, rendendo impossibile la ricostruzione del movimento degli affari della società fallita relativamente al periodo dal primo aprile al 31 dicembre del 2002), essere astrattamente riconducibili ad entrambe le previsioni normative degli artt. 216 e 217, l. fall., diventa essenziale risolvere la questione del concreto atteggiarsi dell’elemento psicologico dell’imputato, disattesa dalla corte territoriale, proprio perché su tale elemento si fonda la distinzione tra le due fattispecie di reato.

La fondatezza dei motivi ricorso sul punto assorbe in sé ogni ulteriore doglianza in tema di trattamento sanzionatorio.

  1. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Milano, che provvederà a colmare le evidenziate lacune motivazionali.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Milano.

 

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