Crediti cartolarizzazione: il debitore ceduto non può opporre al cessionario un credito verso il cedente
come “la cessione dei crediti “in blocco” troverebbe la sua disciplina nel D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 58 (cd. “TUB”) con la conseguente applicabilità del principio enunciato da questa Corte, secondo cui “nel prevedere il trasferimento delle passività al cessionario, in forza della sola cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicità notizia di essa (secondo quanto previsto dello stesso art. 58, comma 2), e non la mera aggiunta della responsabilità di quest’ultimo a quella del cedente, deroga all’art. 2560 c.c., su cui prevale in virtù del principio di specialità” (da ultimo, Cass. Sez. 3, 26 agosto 2014, n. 18258, Rv. 632303-01), realizzando una disciplina “reputata strumentale rispetto alla tutela degli interessi dei creditori della (parte) cedente, tanto da comportare la nullità della clausola con la quale le parti prevedono la limitazione della responsabilità del cessionario” (così già Cass. Sez. 1, sent. 10 febbraio 2004, n. 264, Rv. 570009-01). Nè in senso contrario – sempre secondo questo indirizzo della giurisprudenza di merito – costituirebbe argomento decisivo quello qui invocato dall’odierna ricorrente, ovvero il mancato richiamo, nella L. n. 130 del 1999, art. 4, dell’art. 58, comma 5 del “TUB”, giacchè, anzi, tale scelta potrebbe intendersi nel senso che la legge sulla “cartolarizzazione” ha inteso stabilire l’efficacia immediata del trasferimento (anche) delle passività al cessionario, intendendo escludere quel regime “transitorio”, in forza del quale i debitori ceduti, a loro volta titolari di crediti, “hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 (dell’art. 58), di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione”, restando, però, stabilito che, decorso tale termine, “il cessionario risponde in via esclusiva”” (Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, in particolare, punto 7.1.2. in motivazione). Sottolinea il richiamato precedente di questa Corte che l’indirizzo di merito, in una prospettiva di favore nei confronti del debitore ceduto (estraneo alla vicenda della cessione del credito), ha ritenuto, ad esempio, che nella fattispecie costituita dal contratto di factoring, il debitore ceduto abbia la possibilità di opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto; ciò, al fine di evitare il determinarsi nei suoi confronti una modifica peggiorativa della sua posizione originaria (viene richiamata, tra le altre, Cass. Sez. 1, 2 dicembre 2016, n. 24657, Rv. 641896-01).
I giudici di legittimità non danno seguito alla giurisprudenza di merito (Milano, sent. 12 gennaio 2016; Trib. Pavia, sent. 12 ottobre 2016; Trib. Napoli Nord, sent. 10 novembre 2016; Trib. Rieti, sent. 18 aprile 2017 e Trib. Catania, sent. 19 marzo 2018) che ritiene applicabile l’art. 58 c. 5 TUB alla cessione dei crediti in blocco (comma non richiamato1 dall’art. 4 c. 1 legge 130/1999). La norma del testo unico bancario dispone che i creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari suindicati di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di 3 mesi, il cessionario risponde in via esclusiva. La giurisprudenza di merito, quindi, fa riferimento ad un precedente di legittimità secondo cui l’art. 58 TUB «nel prevedere il trasferimento delle passività al cessionario, in forza della sola cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicità notizia di essa (secondo quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 58), e non la mera aggiunta della responsabilità di quest’ultimo a quella del cedente, deroga all’art. 2560 cod. civ., su cui prevale in virtù del principio di specialità” […] (Cass. 18258/2014) realizzando una disciplina “reputata strumentale rispetto alla tutela degli interessi dei creditori della [parte] cedente, tanto da comportare la nullità della clausola con la quale le parti prevedono la limitazione della responsabilità del cessionario» (Cass. 264/2004).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Ordinanza 2 maggio 2022, n. 13735 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RUBINO Lina – Presidente – Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere – Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere – Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere – Dott. AMBROSI Irene – rel. Consigliere – ha pronunciato la seguente: ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 12886/2019 R.G. proposto da: ITALFONDIARIO Spa, quale procuratore di Dulcinea Securitisation s.r.l., in persona del Dott. Bo.Gi., rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Petraglia, giusta procura speciale in calce al ricorso, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Aureliana n. 2; – ricorrente – contro B.A., e B.U., in proprio e quali ex soci di STN S.r.l., già in liquidazione e ora cessata, rappresentati e difesi dall’avv. Pierpaolo Barretta, giusta procura speciale in foglio separato e allegato, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Rosario Criscuolo, in Roma, via Luigi Calamatta n. 16; – controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 6473/2018, pubblicata il 15 ottobre 2018, non notificata. Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 9 febbraio 2022 dal Consigliere Dott. Irene Ambrosi. Svolgimento del processo La Corte di Appello di Roma ha accolto l’appello proposto da STN (Società trasporti noleggio) S.r.l., già in liquidazione, B.G., B.A. e B.U., avverso la sentenza del Tribunale di Roma con cui era stata respinta l’opposizione proposta dai predetti avverso il decreto ingiuntivo richiesto da ICCREA Banca Impresa s.p.a. (già Banca Agrileasing s.p.a.) ed ottenuto dal Tribunale della stessa città, con cui veniva ingiunto a STN S.r.l. in liquidazione e a B.G., B.A. e B.U., in qualità di fideiussori, il pagamento dell’importo di Euro 76.070,77, oltre interessi e spese, a titolo di canoni scaduti e impagati, relativi al contratto di leasing n. (OMISSIS) del (OMISSIS) stipulato tra Banca Agrileasing s.p.a. e STN s.r.l. avente ad oggetto un’autogru, nonchè, nei confronti di quest’ultima società, la restituzione del bene strumentale. Per quel che qui ancora interessa, la Corte territoriale ha accolto l’appello riformando integralmente la sentenza del giudice di prime cure, ha qualificato il contratto intercorso tra le parti come leasing traslativo e condannato Italfondiario spa, denominandola “interveniente ex art. 111 c.p.c., nel corso del giudizio di appello”, in qualità di procuratrice di Dulcinea Securitisation s.r.l., al pagamento dell’importo di Euro 51.896,96, oltre interessi in favore di STN srl. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, Italfondiario Spa ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Hanno resistito con controricorso B.A. e B.U., in proprio e quali ex soci di STN S.r.l., già in liquidazione e poi cessata. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c., comma 1. Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni. Parte ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, “Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 100 c.p.c.; artt. 1388, 1392 c.c., per difetto di legittimazione passiva di Italfondiario spa quale procuratore di Dulcinea Securitisation s.r.l”, la società ricorrente contesta il dispositivo della decisione di appello che “per l’effetto” ha condannato “Italfondiario s.p.a. (nella qualità di procuratrice di Dulcinea Securitisation s.r.l.) al pagamento in favore di STN s.r.l., della somma di Euro 51.896,96, con aggiunta degli interessi al tasso di legge a decorrere dalla data di citazione in opposizione sino al saldo effettivo”. Deduce l’Istituto ricorrente di aver rivestito la qualità di mero procuratore di Dulcinea Securitisation s.r.l., società alla quale sono stati ceduti i crediti da ICCREA Bancalmpresa s.p.a. a seguito di operazione di cartolarizzazione. In altri termini, Italfondiario sostiene di essere soltanto parte processuale del giudizio, conclusosi con la sentenza oggetto di impugnazione, come mero procuratore di un altro soggetto, parte sostanziale e non, quale portatore di un interesse proprio. La Corte di appello avrebbe pertanto errato nel condannare un soggetto che, seppure ha assunto le vesti di parte processuale del giudizio de quo, non ha agito in proprio, ma unicamente quale procuratore della menzionata società. 2. Con il secondo motivo, “Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 1260, 1263, 1406, 1409, 1410; D.Lgs. n. 385 del 1994, art. 58 (T.U.B.), L. n. 130 del 1999, artt. 1 e 4, sulla cartolarizzazione dei crediti in quanto Italfondiario (quale procuratore di Dulcinea Securitisation s.r.l.) ha agito in giudizio quale mero cessionario del credito ceduto da ICCREA Bancalmpresa spa (difetto di legittimazione sostanziale)” l’istituto ricorrente ribadisce la contestazione sul dispositivo di condanna, già censurato nel primo motivo. In proposito, evidenzia l’errore nella condanna di Italfondiario (quale procuratore di Dulcinea Securitisation s.r.l.) “essendo (è rectius) un mero cessionario del credito ceduto da ICCREA BancaImpresa spa, essendo Dulcinea un mero cessionario del credito ceduto”; precisa al riguardo che: – Dulcinea Securitisation s.r.l. ha concluso un contratto in data 17 dicembre 2014, acquistando in blocco da ICCREA Bancalmpresa s.p.a. (già Banca Agrileasing s.p.a.) un portafoglio di crediti classificati a sofferenza nascenti da rapporti contrattuali di natura bancaria e finanziaria intrattenuti con soggetti terzi; – l’acquisto in blocco è avvenuto ai sensi di quanto disposto dall’art. 58 del TUB e della Legge sulla Cartolarizzazione n. 130 del 1999, artt. 1 e 4; dell’avvenuta cessione, Dulcinea ha dato notizia a mezzo pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in data 3 gennaio 2015; – per i suddetti crediti ha conferito l’incarico “a soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento (servicer) ad Italfondiario s.p.a, previa procura notarile speciale rilasciata in data 30 giugno 2014, per compiere in nome e per conto di essa mandante atti e formalità adempimenti ritenuti necessari, utili e opportuni allo svolgimento dell’attività di amministrazione, gestione, incasso e recupero dei crediti ceduti e dei diritti ad essi collegati, ivi comprese le azioni legali esecutive e/o concorsuali nei confronti dei debitore o di qualsiasi obbligato per essi. Tanto precisato, Italfondiario contesta che la Corte di appello abbia condannato erroneamente un soggetto privo di legittimazione sostanziale (nella specie, Italfondiario s.p.a., quale procuratore di Dulcinea Securitisation s.r.l.) il quale, essendo Dulcinea solo cessionaria, ha ereditato il solo credito e non tutte le altre passività contrattuali che, vice versa, sono rimaste in capo alla cedente ICCREA Banca Impresa spa, unico interlocutore legittimato al giudizio e quindi all’eventuale condanna; per ciò, ICCREA cedente il credito e titolare del contratto di leasing era rimasta presente nel giudizio di appello e non estromessa; dunque, avrebbe errato “clamorosamente” il giudice di appello nell’individuare Italfondiario – procuratrice del mero cessionario Dulcinea – quale destinatario della condanna finale alla restituzione dell’importo, dovendo esso essere individuato nel soggetto titolare della posizione contrattuale. 3. Con il terzo motivo, la società ricorrente lamenta “Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, c.p.c., n. 3, degli artt. 1526 c.c., art. 1458 c.c., art. 99 c.p.c., art. 112 c.p.c.” e impugna la parte della sentenza in cui la Corte di appello ha ritenuto di ricondurre il contratto intercorso tra le parti nella categoria del leasing traslativo e sulla base di ciò ha ritenuto applicabile la disciplina di cui all’art. 1526 c.c. (pag. 9 della sentenza impugnata), sottolineando – come elemento dirimente – che: – “nel decreto ingiuntivo si è proceduto solo per i canoni scaduti e non pagati, non potendo trovare applicazione l’art. 1526 c.c., per difetto dei presupposti e carenza di interesse; il thema decidendum si è cristallizzato sulla escussione dei canoni scaduti ed insoluti, nessuna discussione vi può essere in merito”; – “nessuna locupletazione si può prospettare dal momento che sono stati richiesti solo i canoni scaduti; quindi l’art. 1526 c.c., non è in nuce invocabile. Soprattutto in questa fattispecie dove la banca ha chiesto scaduti e non la penale di risoluzione. Quindi sotto questo aspetto manca la materia del contendere”. 4. Con il quarto motivo, “Violazione e/o falsa applicazione e/o erronea qualificazione giuridica e/o erronea interpretazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del contratto di leasing intercorso tra le parti; violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 1458 c.c., art. 1526 c.c., L. Fall., art. 72 quater; L. 28 dicembre 2015, n. 208, artt. 76 e segg.; L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136 e segg. (ius superveniens)” si ribadisce la censura già svolta con il precedente motivo sul medesimo punto della sentenza gravata (pag. 9) in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente qualificato il contratto di leasing intercorso tra le parti “come non traslativo”, sebbene il contratto de quo fosse un contratto di leasing di godimento dal momento che la causa concreta dello stesso è quella di finanziare l’utilizzo dei beni (nel caso di specie, un’autogru); risultando, inoltre, la causa finanziaria dal tenore letterale dell’art. 5 del contratto in base al quale “le parti si danno reciprocamente atto e riconoscono che la causa del presente contratto è di natura finanziaria e non traslativa e che, di conseguenza, tutte le norme incompatibili con tale causa, sarebbero inapplicabili, per patto espresso”; in proposito, richiama la giurisprudenza di legittimità in tema di interpretazione di contratto (Cass. n. 13418 del 2008) nonchè la motivazione del giudice di prime cure che aveva correttamente qualificato il contratto come leasing finanziario sia in ragione della natura del bene concesso in locazione (nel caso di specie, un’autogru) sia in mancanza di “elementi per ritenere al di là della forma, suffragata e provata, la natura traslativa del leasing”, desunto anche dalla natura del bene strumentale “per di più adibito a noleggio”, soggetto a usura e rapida obsolescenza concesso in locazione per la durata di sette anni (86 mesi), – che “depone piuttosto nel senso che le parti abbiano inteso concederlo in godimento per tutta la durata del suo ciclo di funzionamento, tanto più l’attività imprenditoriale esercitata dalla società di capitali STN srl indica l’interesse all’uso, piuttosto che all’acquisizione in proprietà di beni strumentali alla produzione caratterizzati dalla rapida obsolescenza. Alla luce di siffatta qualificazione del contratto, deve affermarsi la causa essenzialmente creditizia del leasing intercorso tra le parti. Le parti hanno inoltre sottoscritto l’art. 9 del contratto di leasing che, in tema di risoluzione del leasing per inadempimento dell’utilizzatore, rinvia all’applicazione dell’art. 1458 c.c.”. Secondo parte ricorrente, quanto affermato dal giudice di prime cure sarebbe avvalorato anche dallo ius superveniens; in primo luogo, da quanto statuito dalla L. n. 208 del 2015, art. 76 (“l. di stabilità” 2016) che ha tipizzato il contratto di locazione finanziaria (c.d. leasing immobiliare abitativo) per l’acquisto di un immobile da adibire a “prima casa” e previsto che in caso di inadempimento dei canoni da parte dell’utilizzatore il concedente può chiedere la restituzione del bene per rivenderlo (identico meccanismo a quello previsto nel contratto di specie, art. 19); in secondo luogo, da quanto previsto dalla L. Fall., art. 72 quater, ove si prevede che nel caso di fallimento dell’utilizzatore nel contratto di leasing finanziario, se il curatore dichiara di volersi sciogliere dal contatto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene; infine, da quanto previsto dalla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-138, che ha introdotto una definizione di contratto di leasing finanziario e una disciplina ad hoc per gli effetti e conseguenze derivanti dalla risoluzione di inadempimento. In proposito, richiama la pronuncia di legittimità (Cass. 13965 del 2019) che ha ritenuto applicabile anche al caso di risoluzione del contratto di leasing finanziario -verificatosi prima dell’introduzione della L. n. 124 del 2017 – la disciplina di cui alla L. Fall., art. 72 quater, anche nel caso in cui la risoluzione del contratto sia avvenuta prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore. 5. Il primo motivo è inammissibile. Con esso, Italfondiario lamenta di essere parte soltanto in senso processuale e non sostanziale come da procura speciale notarile resa dalla Dulcinea Securitisation s.r.l. depositata in atti. In proposito, questa Corte ha già ripetutamente affermato che non può essere attribuita la rappresentanza processuale quando non risulti conferita al medesimo soggetto anche la rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio, e la procura che conferisca il potere di decidere, a nome della società, le modalità di definizione dei rapporti controversi quindi anche se transigere, sottoporre la questione al giudice o agli arbitri, o resistere – non può essere interpretata quale conferimento di rappresentanza di ordine meramente processuale, atteso che l’anzidetto potere di scegliere ed attuare la migliore soluzione dei rapporti stessi rivela tipiche caratteristiche sostanziali e negoziali, comprendendo in sè, e precedendo logicamente, quello di costituirsi in giudizio (Cass. Sez. L, n. 13347 del 22/06/2005, in senso conforme Cass. Sez. 1, n. 27284 del 20/12/2006). 6. Il secondo motivo è, invece, fondato e merita accoglimento e con esso, l’istituto ricorrente contesta la statuizione di condanna ad esso rivolta dalla sentenza impugnata in violazione della disciplina normativa sulla cartolarizzazione dei crediti. Il fondo della censura prospettata concerne, per un verso, la posizione sostanziale della cessionaria Dulcinea Securitisation s.r.l. di cui è procuratore Italfondiario “quale soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e di pagamento” – la quale ha acquistato “in blocco” ai sensi della L. n. 130 del 1999, artt. 1 e 4, da ICCREA Bancalmpresa spa (Già Banca Agrileasing S.pa.) un portafoglio di crediti classificati a sofferenza nascenti da rapporti contrattuali di natura bancaria e finanziaria intrattenuti con soggetti terzi – e, per l’altro, la questione se la cessione “in blocco” dei crediti sia una successione a titolo particolare, in capo al cessionario, di tutti i rapporti giuridici facenti capo al cedente, donde la possibilità per il debitore ceduto di far valere tutte le eccezioni relative al rapporto sottostante. La sentenza impugnata nello svolgimento del fatto (pag. 2 ultime righe), nel dare conto dell’intervento dell’Italfondiario, accede erroneamente alla tesi che l’Istituto sia successore a titolo particolare nei crediti vantati da ICCREA. La tesi è stata di recente esaminata da questa Corte, a proposito di una fattispecie analoga, con l’espressione del seguente principio, che il Collegio condivide e a cui intende dare seguito, a mente del quale: “i crediti oggetto delle operazioni di “cartolarizzazione” eseguite ai sensi della L. n. 130 del 1999, costituiscono un patrimonio separato da quello della società di cartolarizzazione, destinato in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti e al pagamento dei costi dell’operazione, sicchè non è consentito al debitore ceduto proporre nei confronti del cessionario eccezioni di compensazione o domande giudiziali fondate su crediti vantati verso il cedente nascenti dal rapporto con quest’ultimo intercorso” (Cass. Sez. 3 n. 21843 del 30/08/2019 Rv. 655567 – 01). Con la richiamata decisione, questa Corte ha tenuto conto dell’indirizzo giurisprudenziale, prevalso nel merito, che ha ritenuto come “la cessione dei crediti “in blocco” troverebbe la sua disciplina nel D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 58 (cd. “TUB”) con la conseguente applicabilità del principio enunciato da questa Corte, secondo cui “nel prevedere il trasferimento delle passività al cessionario, in forza della sola cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicità notizia di essa (secondo quanto previsto dello stesso art. 58, comma 2), e non la mera aggiunta della responsabilità di quest’ultimo a quella del cedente, deroga all’art. 2560 c.c., su cui prevale in virtù del principio di specialità” (da ultimo, Cass. Sez. 3, 26 agosto 2014, n. 18258, Rv. 632303-01), realizzando una disciplina “reputata strumentale rispetto alla tutela degli interessi dei creditori della (parte) cedente, tanto da comportare la nullità della clausola con la quale le parti prevedono la limitazione della responsabilità del cessionario” (così già Cass. Sez. 1, sent. 10 febbraio 2004, n. 264, Rv. 570009-01). Nè in senso contrario – sempre secondo questo indirizzo della giurisprudenza di merito – costituirebbe argomento decisivo quello qui invocato dall’odierna ricorrente, ovvero il mancato richiamo, nella L. n. 130 del 1999, art. 4, dell’art. 58, comma 5 del “TUB”, giacchè, anzi, tale scelta potrebbe intendersi nel senso che la legge sulla “cartolarizzazione” ha inteso stabilire l’efficacia immediata del trasferimento (anche) delle passività al cessionario, intendendo escludere quel regime “transitorio”, in forza del quale i debitori ceduti, a loro volta titolari di crediti, “hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2 (dell’art. 58), di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione”, restando, però, stabilito che, decorso tale termine, “il cessionario risponde in via esclusiva”” (Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, in particolare, punto 7.1.2. in motivazione). Sottolinea il richiamato precedente di questa Corte che l’indirizzo di merito, in una prospettiva di favore nei confronti del debitore ceduto (estraneo alla vicenda della cessione del credito), ha ritenuto, ad esempio, che nella fattispecie costituita dal contratto di factoring, il debitore ceduto abbia la possibilità di opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto; ciò, al fine di evitare il determinarsi nei suoi confronti una modifica peggiorativa della sua posizione originaria (viene richiamata, tra le altre, Cass. Sez. 1, 2 dicembre 2016, n. 24657, Rv. 641896-01). Osserva inoltre che siffatti rilievi, sembrerebbero confortare la tesi, come veduto prevalsa nella giurisprudenza di merito, secondo cui, in presenza di una cessione effettuata ai sensi della L. n. 130 del 1999, artt. 1-4, qualora sia domandato dal debitore ceduto l’accertamento di un credito strumentale alla restituzione delle somme indebitamente percepite in ragione del contratto nei confronti di un soggetto che si è spogliato del credito in virtù dell’operata cessione dovrebbe ritenersi unica parte sostanziale la società cessionaria e non più, la cedente. Tuttavia, la ricostruzione offerta dal menzionato indirizzo giurisprudenziale è stata ritenuta non corretta in quanto finisce per annullare “quasi per “sublimazione” la distinzione stessa tra cessione del credito e cessione del contratto, conferendo alla disciplina della cartolizzazione prevista dalla L. n. 130 del 1999 i caratteri proprio della fattispecie di cui all’art. 1411 c.c.” (Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, in particolare, punto 7.1.3. in motivazione). Sotto tale profilo, si è evidenziato che “la L. n. 130 del 1999, ha dato vita ad una disciplina generale ed organica in materia di operazioni di cartolarizzazione dei crediti, la cui realizzazione ha previsto attraverso società appositamente costituite (cd. società veicolo o “special pourpose vehicle”). Esse, in particolare, provvedono all’emissione di titoli destinati alla circolazione per finanziare l’acquisto dei crediti del cedente (cd. “originator”) e, successivamente, al recupero dei crediti acquistati e, mediante la provvista conseguita, al rimborso dei titoli emessi. Per espressa disposizione di legge (art. 3, comma 2) i crediti che formano oggetto di ciascuna operazione di cartolarizzazione costituiscono un vero e proprio “patrimonio separato”, ad ogni effetto, rispetto a quello della società veicolo e rispetto a quello relativo ad altre operazioni di cartolarizzazione. Tale patrimonio, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 1, comma 1, lett. b), della legge è a destinazione vincolata, in via esclusiva, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti, nonchè al pagamento dei costi dell’operazione. In altri termini, il flusso di liquidità che l’incasso dei crediti è in grado di generare è funzionale, in via esclusiva, al rimborso dei titoli emessi, alla corresponsione degli interessi pattuiti ed al pagamento dei costi dell’operazione. Ciò detto, in un simile quadro, consentire ai debitori ceduti di opporre in compensazione, al cessionario, controcrediti da essi vantati verso il cedente (nascenti da vicende relative al rapporto con esso intercorso ed il cui importo, pertanto, lungi dall’essere noto alla “società veicolo” al momento della cessione, deve essere accertato giudizialmente), e addirittura consentire, come nella specie, la proposizione di domande riconvenzionali, significherebbe andare ad incidere, in modo imprevedibile, su quel “patrimonio separato a destinazione vincolata” di cui si diceva, “scaricandone”, così, le conseguenze sul pubblico dei risparmiatori ai quali spetta, invece, ed in via esclusiva, il valore del medesimo. I possessori dei titoli emessi dallo “special pourpose vehicle” possono essere, infatti, esposti solo al rischio che deriva dal fatto che i crediti cartolarizzati non siano incassati – perchè non soddisfatti dai debitori, ovvero perchè inesistenti o, al limite, perchè già estinti anche per compensazione – ma non anche a quello (pena, altrimenti, la negazione del meccanismo della separazione come tracciato dalla L. n. 130 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b) che sul patrimonio alimentato dai flussi di cassa, generati dalla riscossione dei crediti cartolarizzati, possano soddisfarsi anche altri creditori.” (Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, in particolare, punto 7.1.4. in motivazione). Ciò accadrebbe, nella specie, se si ammettesse, come statuito dalla sentenza impugnata, B.A. e B.U., in proprio e quali ex soci di STN s.r.l., ad esigere il pagamento dell’importo oggetto della condanna in via riconvenzionale, anche alla Dulcinea Securitisation s.r.l. intervenuta in giudizio tramite il procuratore Italfondiario s.p.a.. Tale conclusione, del resto, come già affermato da Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, “trova un indiretto conforto nel dettato normativo, ed esattamente nella L. n. 130 del 1999, art. 4, comma 2”. Esso, infatti, per un verso, stabilisce che dalla “data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale o dalla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti di cui all’art. 1, comma 1, lett. b)”, nonchè, per altro verso, che “in deroga ad ogni altra disposizione, non è esercitabile dai relativi debitori ceduti la compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data”. Orbene, risulta evidente come il divieto, posto a carico del debitore ceduto, di compensazione dei crediti “sorti posteriormente” alla data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale (o alla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione), risponde a quella stessa logica, di cui dianzi si diceva, di salvaguardia del “patrimonio separato a destinazione vincolata” cui dà vita l’operazione cartolarizzazione”. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento dei restanti due, concernenti la natura del rapporto sottostante, la cassazione della sentenza impugnata in relazione e il rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra ricordati. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza in relazione e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 febbraio 2022. Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2022
I crediti oggetto delle operazioni di cartolarizzazione di cui alla legge n. 130/1999 costituiscono un patrimonio separato da quello della società veicolo