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Reato di maltrattamenti in famiglia: cos’è e come denunciarlo

 

Il danno estetico, infatti, può essere risarcito sotto diversi punti di vista: per l’aspetto patrimoniale, quindi il danno emergente o il lucro cessante derivante dalla lesione; per l’aspetto non patrimoniale, quindi il danno biologico e morale, cioè le conseguenze psicologiche che conseguono al peggioramento fisico (pensiamo ad un esaurimento da stress).
Il danno estetico, infatti, può essere risarcito sotto diversi punti di vista:
per l’aspetto patrimoniale, quindi il danno emergente o il lucro cessante derivante dalla lesione;
per l’aspetto non patrimoniale, quindi il danno biologico e morale, cioè le conseguenze psicologiche che conseguono al peggioramento fisico (pensiamo ad un esaurimento da stress).

 

Reato di maltrattamenti in famiglia: cos’è e come denunciarlo

Il reato di maltrattamenti in famiglia è previsto dall’articolo 572 del codice penale e punisce chiunque maltratta un familiare o un convivente, ovvero una persona che sia sottoposta all’autorità del soggetto agente o sia a lui affidata.

Per maltrattamenti si intendono le condotte reiterate nel tempo che siano volontariamente lesive dell’integrità fisica, della libertà o del decoro, oppure degradanti, fisicamente o moralmente.

Le condotte che possono integrare il reato di maltrattamenti sono molteplici e possono essere di natura fisica, verbale, psicologica o economica.

Ad esempio, si configura il reato di maltrattamenti in famiglia nel caso in cui un soggetto:

percuota, ferisca o danneggi in altro modo il proprio familiare o convivente;

  1. lo minacci, lo insulti o lo umilia ripetutamente;
  2. lo privo di cibo, di denaro o di altri beni di prima necessità;
  3. lo costringa a svolgere lavori pesanti o pericolosi;
  4. lo impedisca di lavorare, studiare o frequentare amici e parenti.

Il reato di maltrattamenti in famiglia è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è aumentata fino alla metà nel caso in cui il fatto sia commesso in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità.

Chiunque sia vittima di maltrattamenti in famiglia può denunciarli alle forze dell’ordine o al pubblico ministero. La denuncia può essere presentata anche da un familiare, da un amico o da un conoscente della vittima.

In caso di denuncia, le forze dell’ordine o il pubblico ministero possono disporre l’allontanamento del maltrattante dalla casa familiare e l’applicazione di altre misure cautelari.

La vittima di maltrattamenti in famiglia può inoltre richiedere il risarcimento del danno subito al responsabile del reato.

Ecco alcuni consigli per le vittime di maltrattamenti in famiglia:

Non abbiate paura di denunciare l’accaduto. Le forze dell’ordine e il pubblico ministero sono a vostra disposizione per aiutarvi.

Cercate il supporto di amici, parenti o di un professionista. La condivisione della vostra esperienza può aiutarvi a sentirvi meno sole e a trovare la forza per reagire.

Rivolgetevi a una delle associazioni che si occupano di violenza domestica. Queste associazioni possono fornirvi supporto psicologico, legale e pratico.

Ricordatevi che non siete sole e che esiste aiuto.

 

 

 

Maltrattamenti richiedono abitualità (Cass. 8333/22)

10 marzo 2022, Cassazione penale

 

       MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

 Il reato di cui all’art. 572 c.p. richiede, ai fini della configurabilità, l”elemento dell’abitualità (Sez. 6, sent. n. 4636 del 28.02.1995 dep. 1995, rv. 201148-01). I fatti commissivì ed omissivi rilevano penalmente solo attraverso la loro reiterazione nel tempo, allorché vi sia un numero minimo di condotte collegate tra di loro per mezzo di un nesso di abitualità. È necessario, dunque, che le condotte non siano meramente sporadiche, piuttosto che siano la manifestazione di una persistente attività vessatoria, tale da generare un regime di vita persecutorio ed umiliante.

Occorre sottolineare che, anche in presenza di assenza di convivenza dei genitori, il reato si integra nel caso di filiazione non occasionale, bensì frutto di una relazione sentimentale non più attuale, dalla quale è sorta l’aspettativa di un vincolo di solidarietà, differente dai doveri legati alla condivisa genitorialità. Infatti, solo in caso di disgregazione effettiva dell’originario nucleo familiare e, conseguentemente, di cessazione del rapporto di reciproca assistenza morale ed effettiva, si esclude la configurabilità del reato.

Ciò posto, nel caso di specie il F. , pur non convivendo con i minori, era autorizzato a vederli due volte a settimana, per cui non manca l’elemento della convivenza, ma si poneva, invece, la necessità di accertare se le condotte contestate siano idonee o meno ad integrare il requisito dell’abitualità dei maltrattamenti in famiglia. La Corte di Appello di Firenze, invero, ha correttamente applicato l’art. 572 c.p. in quanto, a seguito dell’individuazione delle condotte contestate, di cui solo tre ritenute provate sulla base delle dichiarazioni di entrambi i minori, ha rilevato come si trattasse di singoli episodi non reiterati, bensì isolati, dunque non idonei a configurare il reato di maltrattamenti. Diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, quindi, la Corte di appello ha applicato correttamente la norma incriminatrice in riferimento ai fatti accertati.

 

Corte di Cassazione

sezione VI pen. ud. 7 dicembre 2021 (dep. 10 marzo 2022), n. 8333

Ritenuto in fatto

  1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Firenze, a seguito di gravame interposto dall’imputato F.U. avverso la sentenza emessa in data 12 ottobre 2016 dal Giudice per l’Udienza preliminare del Tribunale di Prato, in riforma della decisione ha assolto il predetto imputato dai reati di cui agli artt. 81 cpv., 572, 582, 585 e 576 c.p., art. 61 c.p., nn. 2 e 4 (per aver maltrattato, mediante più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, la moglie P.M.L. e i propri figli minori C. ed P.E. , sottoponendoli a reiterate vessazioni fisiche, psicologiche e morali), perché il fatto non sussiste.
  2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la parte civile P.M.L. , anche in qualità di esercente la potestà genitoriale sui figli minori E. e F.C. , persone offese e costituite parte civile nel medesimo processo, deducendo a mezzo del difensore:

2.1 Con il primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale in merito agli elementi costitutivi del reato previsto dall’art. 572 c.p., in quanto la Corte ha ritenuto non sufficiente aì fini dell’integrazione del requisito essenziale dell’abitualità della condotta i due giorni a settimana nei quali l’imputato poteva frequentare i propri figli e durante i quali si ritenevano commesse le condotte, definendo, invece, queste ultime come episodi isolati e sporadici. Richiamandosi l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 6724 del 22.11.2017, dep. 2018, rv. 272452 – 01), si ritiene che non sia necessario che gli atti delittuosi siano posti in essere per un periodo prolungato, piuttosto che vi sia ripetizione nel tempo tale da generare timore, ovvero un clima di soggezione nelle persone offese.

2.2 Con il secondo motivo, mancanza di motivazione riguardo allo scostamento dalla relazione del CTU sull’attendibilità dei minori e dalla sentenza di primo grado, in quanto la Corte ha ribaltato le valutazioni svolte dal GIP, senza tuttavia fornire una specifica motivazione sugli elementi dai quali ha desunto l’erroneità della perizia psicologica del CTU.

Il Procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.

L’imputato si è difeso con memoria.

Ritenuto in diritto

Il ricorso è inammissibile.

  1. Il primo motivo risulta manifestamente infondato.

Il reato di cui all’art. 572 c.p. richiede, ai fini della configurabilità, l”elemento dell’abitualità (Sez. 6, sent. n. 4636 del 28.02.1995 dep. 1995, rv. 201148-01). I fatti commissivì ed omissivi rilevano penalmente solo attraverso la loro reiterazione nel tempo, allorché vi sia un numero minimo di condotte collegate tra di loro per mezzo di un nesso di abitualità. È necessario, dunque, che le condotte non siano meramente sporadiche, piuttosto che siano la manifestazione di una persistente attività vessatoria, tale da generare un regime di vita persecutorio ed umiliante.

Occorre sottolineare che, anche in presenza di assenza di convivenza dei genitori, il reato si integra nel caso di filiazione non occasionale, bensì frutto di una relazione sentimentale non più attuale, dalla quale è sorta l’aspettativa di un vincolo di solidarietà, differente dai doveri legati alla condivisa genitorialità. Infatti, solo in caso di disgregazione effettiva dell’originario nucleo familiare e, conseguentemente, di cessazione del rapporto di reciproca assistenza morale ed effettiva, si esclude la configurabilità del reato.

Ciò posto, nel caso di specie il F. , pur non convivendo con i minori, era autorizzato a vederli due volte a settimana, per cui non manca l’elemento della convivenza, ma si poneva, invece, la necessità di accertare se le condotte contestate siano idonee o meno ad integrare il requisito dell’abitualità dei maltrattamenti in famiglia. La Corte di Appello di Firenze, invero, ha correttamente applicato l’art. 572 c.p. in quanto, a seguito dell’individuazione delle condotte contestate, di cui solo tre ritenute provate sulla base delle dichiarazioni di entrambi i minori, ha rilevato come si trattasse di singoli episodi non reiterati, bensì isolati, dunque non idonei a configurare il reato di maltrattamenti. Diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, quindi, la Corte di appello ha applicato correttamente la norma incriminatrice in riferimento ai fatti accertati.

  1. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Nell’ambito delle prove scientifiche, il giudice di legittimità non ha il compito di stabilire l’attendibilità delle acquisizioni ovvero se l’apprezzamento del giudice di merito sia corretto, potendosi pronunciare solo sulla razionalità e logicità dell’approccio di tale giudice. Quindi, non può valutare differentemente gli esiti della prova scientifica, trattandosi di un accertamento di fatto (per tutte, Sez. 1, sent. n. 58465 del 10.10.2018, rv. 276151-01).

Con particolare riguardo al tema delle dichiarazioni rese da minori quali persone offese, occorre considerare sia la coerenza di esse, sia tutte le altre circostanze che potrebbero influire sull’attendibilità di tali soggetti. Invero, si distinguono due accertamenti da effettuare nei confronti del minore, da un lato, quello volto a verificare la sua capacità a testimoniare, per comprendere se riesca a percepire o meno la realtà e riferire rispetto a determinati accadimenti, dall’altro, la valutazione di attendibilità, riguardante la veridicità di quanto dichiarato (Sez. 3, sent. n. 15207 del 26.11.2019, dep. 2020, rv. 278780-01).

La Corte di Appello di Firenze ha adeguatamente motivato in merito allo scostamento della propria valutazione da quella del CTU sull’attendibilità dei minori e dalla sentenza di pimo grado, in quanto, partendo dall’illogicità delle conclusioni della sentenza del (Ndr: testo originale non comprensibile) ha analizzato le varie condotte con relative dichiarazioni rese dai minori, individuando le ragioni indicative di una scarsa attendibilità -, in primis, l’impeto di C. di arricchire con molti dettagli l’fatti, in secundis, l’alterazione delle dichiarazioni dovuta alle interferenze della P. – e, quindi, della impossibilità di giungere ad un giudizio di certezza sulle condotte contestate.

Valutate le ragioni della inammissibilità, la sanzione pecuniaria va determinata nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.