SASSUOLO CARPI MODENA INCIDENTE GRAVE O MORTALE RISARCIMENTO
HAI AVUTO A SASSUOLO CARPI MODENA INCIDENTE GRAVE O MORTALE E VUOI IL GIUSTO
RISARCIMENTO AVVOCATO CON 30 ANNI ESPERIENZA BOLOGNA MODENA VICENZA TRATTA GRAVI INCIDENTI CON DANNI GRAVI ALLA PERSONA O INCIDENTI MORTALI .
Il presupposto fondamentale per ottenere il giusto risarcimento delle lesioni fisiche subite è il parere medico legale redatto da un medico specialista in medicina legale e delle assicurazioni, che valuta con estrema attenzione i postumi riportati e stila un referto preciso e corretto per poter quantificare il danno e vedere pienamente riconosciuti i propri diritti.
TIPOLOGIE DI DANNO E DI RISARCIMENTI IN CASO DI INCIDENTE STRADALE MORTE IN INCIDENTE FRONTALE
Le tipologie di danno così come di risarcimento sono molteplici e comprendono:
danni morali per la sofferenza derivanti dalla morte del congiunto. Questi sono riconosciuti solo se previsto dalla legge e solo per coloro che sono legittimati
Gli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, come di recente modificati, oltre ad aver sostituito la precedente rubrica da “danno biologico” a “danno non patrimoniale”, consentono di distinguere il contenuto della lesione non patrimoniale. In particolare, al giudice spetta analizzare congiuntamente, ma distintamente:
il danno morale inteso come dolore, al pari «della vergogna e della disistima di sé, della paura ovvero della disperazione»;
il danno dinamico-relazionale«destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto».
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- In caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’articolo 29 cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto (precedente conforme cass. civ. 21230 del 2016).
- Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 7 dicembre 2017 n. 29332
- Il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, determina un danno non patrimoniale, consistente nella perdita del rapporto parentale, quando colpisce soggetti legati da un vincolo parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all’ intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare nucleare. Mentre, affinché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori di tale nucleo (nonni, nipoti, genero, nuora) é necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico. Solo in tal modo il rapporto tra danneggiato primario e secondario assume rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno (articolo 2 Cost.).
- Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 16 marzo 2012 n. 4253
- La morte di un congiunto, conseguente a fatto illecito, configura per i superstiti del nucleo familiare un danno non patrimoniale diretto ed ingiusto, costituito dalla lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, perché la perdita dell’unità familiare è perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale. Risulta quindi evidente, da siffatta impostazione, che il danno in questione, incidendo esclusivamente sulla psicologia, sugli affetti e sul legame parentale esistente tra la vittima dell’atto illecito e i superstiti, non è riconoscibile se non attraverso elementi indiziari e presuntivi, che, opportunamente valutati, con il ricorso ad un criterio di normalità, possano determinare il convincimento del Giudice, Né l’assenza di coabitazione può essere considerata elemento decisivo di valutazione quando si consideri che tale assenza sia imputabile a circostanze di vita che non escludono il permanere dei vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto. (Nel caso di specie secondo la Suprema Corte appare illogica la pretesa, avanzata dal giudice di merito, circa la necessità di “una prova in senso tecnico”, a dimostrazione del dolore dei superstiti, che, essendo sostanzialmente un sentimento, e, comunque, un danno di portata spirituale, può essere rilevato soltanto in maniera indiretta).
- Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 15 luglio 2005 n. 15019
- La risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da atto illecito penale postula, oltre all’esistenza del rapporto di parentela, il concorso di ulteriori circostanze atte a far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo valido sostegno morale. Trattandosi nel caso di specie di avi (nonni), non viene in considerazione un soggetto che abbia un vero e proprio diritto ad essere assistito anche moralmente (dal nipote). Sicché, trattandosi di soggetto diverso, occorre, oltre il vincolo di stretta parentela, un presupposto (es. convivenza) che riveli la perdita appunto di un valido e concreto sostegno morale.
- Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 giugno 1993 n. 6938
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Fra le casistiche degli incidenti stradali che lo studio offre elenchiamo.
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Il giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di affermare come il quesito di diritto vada formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire, in concreto, l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) in una richiesta del tutto generica, (quale risulta quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata – o disapplicata o erroneamente applicata, in astratto, – una norma di legge. Il quesito deve, di converso, investire ex se la ratio decidendi della sentenza impugnata con riferimento, sia pur sintetico, ai fatti essenziali di causa, proponendone una alternativa di segno opposto destinata ad una soluzione che, partendo dalla fattispecie concreta, e poi trascendendo la medesima, come sottoposta all’esame del giudice di legittimità, ne dia specifico conto ed esaustiva esposizione: le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, e che già presupponga la risposta senza peraltro consentire un utile riferimento alla fattispecie in esame.
La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (ex multis, Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non (sia pur implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza di una astratta violazione di legge.
Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 20 gennaio 2015, n. 811
I fatti
C.D. , la moglie S.M.C. e la figlia C. convennero dinanzi al Tribunale di Nola le Assicurazioni Generali in qualità di impresa designata per il FGVS, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito della morte di C.G. , figlio e fratello degli istanti, investito da una autocisterna rimasta non identificata mentre era alla guida del proprio ciclomotore.
Il giudice di primo grado accolse la domanda, ritenendo l’ignoto camionista responsabile dell’incidente nella misura del 70% e condannando conseguentemente la compagnia assicuratrice al pagamento della complessiva somma di circa 354 mila Euro in favore degli attori.
La Corte di appello di Napoli, pronunciando sulle impugnazioni, principale e incidentale, hinc et inde proposte, le accolse entrambe in parte qua, riducendo, da un canto, l’importo risarcitorio ad Euro 171.379, liquidando, dall’altro, in favore dei familiari della vittima le spese di lite del primo grado in misura di circa 5500 Euro.
La sentenza del giudice territoriale è stata impugnata dai C. con ricorso sorretto da motivi 3 di censura illustrati da memoria.
Resiste la Assicurazioni Generali s.p.a. con controricorso illustrato a sua volta da memoria.
Le ragioni della decisione
Il ricorso è fondato quanto al suo terzo motivo.
Con il primo motivo, si denuncia motivazione insufficiente e contraddittoria con erronea valutazione delle risultanze istruttorie.
La censura è inammissibile, volta che essa non risulta in alcun modo corredata dalla sintesi espositiva dei fatti di causa, come previsto dall’art. 366 bis c.p.c. applicabile nella specie ratione temporis, essendo stata la sentenza d’appello depositata nel vigore del D.lgs. 40/2006.
L’esposizione del denunciato vizio di motivazione non tiene conto, difatti, di quanto più volte affermato dal giudice di legittimità sul tema della sintesi necessaria per il relativo esame, tema affrontato dalle stesse sezioni unite di questa Corte, che hanno all’uopo specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del sintagma chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.
Si è così affermato che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto (c.d. “quesito di fatto”) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.
Tale momento di sintesi, formulato in veste di quesito di fatto, nella specie risulta del tutto omesso, in aperta violazione della norma in parola.
Con il secondo motivo, si denuncia mancato riconoscimento del danno biologico iure proprio alla ricorrente S. . Contraddittoria motivazione. Violazione di legge..
La censura è corredata dal seguente quesito di diritto:
Accertata la sussistenza di un danno biologico e rilevata la impossibilità, per qualsiasi motivo (premorienza, incapacità, pazzia, depressione) di procedere ad accertamento medico-legale sulla persona, deve il giudice di merito procedere alla salutazione equitativa del danno?.
Il motivo – prima ancora che del tutto infondato nel merito, attesa la chiara definizione legislativa di danno biologico in guisa di lesione medicalmente accertabile – è inammissibile in rito.
Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di affermare come il quesito di diritto vada formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire, in concreto, l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) in una richiesta del tutto generica, (quale risulta quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata – o disapplicata o erroneamente applicata, in astratto, – una norma di legge. Il quesito deve, di converso, investire ex se la ratio decidendi della sentenza impugnata con riferimento, sia pur sintetico, ai fatti essenziali di causa, proponendone una alternativa di segno opposto destinata ad una soluzione che, partendo dalla fattispecie concreta, e poi trascendendo la medesima, come sottoposta all’esame del giudice di legittimità, ne dia specifico conto ed esaustiva esposizione: le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, e che già presupponga la risposta senza peraltro consentire un utile riferimento alla fattispecie in esame.
La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (ex multis, Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli, in forma interrogativa e non (sia pur implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza di una astratta violazione di legge.
Con il terzo motivo, si denuncia determinazione della misura del danno morale subito dalla vittima in rapporto al danno biologico. Insufficiente e contraddittoria motivazione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c..
La censura è corredata dalla seguente sintesi espositiva (contenuta al folio 9 del ricorso), da ritenersi tale sul piano contenutistico (nonostante l’assenza di una specifica evidenziazione grafica):
Ricorrono numerosi casi in cui,, pur non sussistendo un significativo danno biologico, sussiste invece un rilevante danno morale, ragione per la quale la valutazione del danno morale va operata caso per caso e senza che il danno biologico possa essere un riferimento assoluto. Il caso che occupa rientra tra quelli nei quali il danno morale è altamente significativo anche in presenza di un danno biologico lieve o da liquidarsi in misura lieve.
Il motivo è fondato.
Con esso si chiede al collegio la riaffermazione e la enunciazione di un principio di diritto del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che, con le sentenze a sezioni unite dell’11 novembre 2008, ha evidenziato, con specifico riferimento a casi come quello di specie, come il danno derivante dalla da consapevolezza dell’incombere della propria fine sia del tutto svincolato da quello più propriamente biologico, e postuli una ben diversa valutazione sul piano equitativo, sub specie di una più corretta valutazione della intensissima sofferenza morale della vittima.
A tali principi non si è attenuta la Corte territoriale, che ha quantificato il risarcimento di tale voce di danno liquidando agli aventi diritto una cifra correttamente definita da parte ricorrente “del tutto irrisoria”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Napoli in altra composizione.
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